giovedì 2 dicembre 2010

NELLA TERRA DEGLI INCA
ricordi ed emozioni


Abbiamo organizzato questo viaggio in soli venti giorni, 
con l'aiuto professionale di Edgar Roca, cittadino peruviano e guida andina, dopo che nostro figlio Michele maturò autonomamente e consapevolmente il desiderio di conoscere il paese dove è nato.
In primavera partecipammo alla presentazione da parte di Edgar, dei percorsi di trekking nell'Ancash, delle scalate alle cime della Cordigliera Bianca e della scoperta del mondo e della cultura Inca. Abbiamo deciso, non senza qualche preoccupazione, che questo tipo di viaggio fosse quello giusto per noi. Ci siamo immersi nella realtà andina, armati di spirito di adattamento, umiltà e curiosità, rimanendo enormemente colpiti dalle bellezze dei luoghi e dall'umanità delle persone. 

 
29.09.2009
Partiamo in orario 19.15, dall'aeroporto Marco Polo di Venezia. Arriviamo a Madrid come previsto alle ore 21.45. L'aeroporto è molto bello ed estesissimo. 

Per raggiungere il terminal dell'Iberia, per i voli intercontinentali, dobbiamo percorrere un breve tragitto in metropolitana.

30.09.2009
Il viaggio da Madrid a Lima è lungo, ma tranquillo anche se un po’ scomodo, dormiamo poco e male, ma arriviamo a Lima in anticipo, ore 6.00 del mattino.
30.09.2009
L’aeroporto di Lima è grande e nuovissimo, molto pulito e curato. Superiamo i controlli senza alcun intoppo. All’uscita ci aspetta Francisco, nostra guida andina, regge un cartello con scritto: Paulino Cristina Michele. Ci presentiamo e salutiamo cordialmente e insieme ci dirigiamo verso l’uscita.
Veniamo presi d'assalto dai taxisti presenti nel piazzale, Francisco ci assicura che il nostro taxi arriverà presto e quindi aspettiamo. Alla fine arriva un’auto berlina , Francisco ed il taxista cercano di stipare i bagagli all'interno. Rimaniamo perplessi. Sembra impossibile che le nostre cinque valigie ed i tre zaini possano trovar posto, visto che metà bagagliaio è occupato dal bombolone dell’impianto a gas.
Riusciamo comunque a caricare tutto, compresi noi e Francisco. Come ci siamo riusciti è ancora un mistero. Durante il tragitto Francisco di sottecchi osserva Michele che è seduto davanti, l’autista si destreggia in mezzo al traffico caotico, zigzagando a destra ed a sinistra per evitare collisioni.
Euforici ci aggrappiamo nervosamente alle valigie e in cuor nostro ci auguriamo di arrivare presto all'hotel, anche se durante il tragitto ci divertiamo da morire. Nella strada improbabili motociclette  costruite artigianalmente assemblando tra loro pezzi di auto moto e bici, corrono e ci superano strombettando e caracollando paurosamente. Autobus colorati e vecchie auto si mescolano a suv di grossa cilindrata. Un caos  infernale.

Sono appena le 7 del mattino, ci rechiamo in un bar  per fare colazione . L'ambiente è  nuovo e gestito da una equipe di ragazzi e ragazze giovani e  spigliati che ci riconoscono come italiani e parlano dell'euro come moneta ambita.
Dopo aver cambiato il denaro cerchiamo un taxi con il quale recarci all'istituto dove si trovava Michele nel 1986. Diversi taxisti si rifiutano di accompagnarci, non conoscono il posto, oppure ci dicono che è troppo lontano. Alla fine uno accetta e ritorniamo nel traffico caotico di Lima.
Il conducente è un po' loco(matto) guida veloce e coinvolge Francisco in un interminabile dialogo, è
infuriato perchè la sorella sedicenne aspetta un bambino e non è neppure sposata.  Afferra la leva del cambio come fosse il collo dell'autore  del malfatto , guida nervosamente . Un pedone, incautamente, cerca di attraversare la strada peraltro sulle strisce pedonali, il taxista inchioda l'auto e sbraita dal finestrino: “hola loco, vee que se te investo non toma mas cafè”.

Dopo tre quarti d'ora riusciamo a rintracciare l'Istituto che ora si chiama Hogar S.Antonio. Chiediamo informazioni ad una guardia in motocicletta che ci scorta fino all'entrata. Suoniamo ripetutamente il campanello, ci apre una impiegata che vuole sapere il motivo della visita. Ci prega di attendere perché deve chiedere il permesso alla direttrice, la quale ci riceve in ufficio. Michele è emozionato ma tranquillo, mi chiede se l'Istituto è proprio questo, se me lo ricordo così come è.
In effetti, ricordo bene l'ufficio dove quella volta avevo aspettato che mi portassero il neonato ed anche la struttura esterna, con la scala da dove era scesa l'educatrice con Michele in braccio. Il personale non si ricorda di lui in particolare, c'è stato un avvicendamento degli educatori ed ora non sono più gli stessi. Paolo ed io siamo molto tesi, la direttrice ci dice che in questo periodo custodiscono bambini da 3 agli 8 anni e che tre di loro sono adottabili subito. I neonati sono ora in un'altra sede .
La direttrice ci vuole presentare i bambini , colta di sorpresa avverto un senso di panico, una senzazione nuova e d'impulso rispondo che non sono emotivamente preparata. Michele invece ci tiene tanto. Così, timidamente, la seguiamo e ci emozioniamo da morire, sono agitata e mi sembra di essere isolata dal resto del mondo.
Normalmente sono molto affettuosa e coinvolgente con i bambini, ma ora non riesco proprio a muovermi, nè a dire nulla. Tutti i bambini chiamano “mamy”, sia la direttrice che le inservienti. Il posto è pulito, ma abbastanza impersonale e soprattutto si avverte la mancanza di allegria.
Ci sono otto bambini, tra maschi e femmine, tutti bellissimi, ci corrono incontro curiosi e timidi. Tutti molto svegli ed attenti, quelli più grandi sono più quieti. Noi li salutiamo, consegniamo loro le caramelle ed i giochi che abbiamo portato, li accarezzo sulla testa, le mani mi tremano per l'emozione, non riesco a dire niente perché mi viene da piangere.
In quale veste sono qua? Come mi vedono questi bambini ? Che diritto ho di toccarli, accarezzarli e poi andare via come niente fosse?
La direttrice ci spiega che al piano superiore è situata la camera nella quale si trovava Michele, insieme ad altri neonati. L'avevo sempre immaginata enorme e vuota, invece, ora ci sono due file di lettini, delle mensole con grandi pupazzi di peluche e trapunte colorate, ben piegate e troppo pulite per essere usate abitualmente. Il pavimento in legno è pulito. Delle barbie, ancora nelle loro scatole, sono in bella mostra su di una libreria. Ho l'impressione che i giochi non vengano mai adoperati, chiedo alla direttrice perché sono riposti così in alto, lei mi risponde che di giorno li spostano perché devono riordinare. Mah....!
Arrivano delle bambine in divisa scolastica, sembrano sorprese nel vederci, noi regaliamo loro delle caramelle e le salutiamo. Scendiamo di sotto ed incontriamo altri bambini. Alla fine usciamo con un groppo alla gola e il pianto nel cuore. Da quello che abbiamo potuto vedere l'Istituto riceve aiuti dalla Croce Rossa o Caritas, perché del personale sta smistando pacchi di vestiario.
All'uscita il taxista “loco” sta lucidando il taxi, la guardia è ancora là e ci scorta per un tratto di strada. Paolo vorrebbe dargli una mancia ed estrae del denaro dalla tasca, il taxista osserva la scena e si innervosisce, parla con Francisco che immediatamente spinge Paolo dentro all'auto. Non c'è molto da fidarsi delle persone che non si conoscono, anche se in divisa.
Il viaggio di ritorno a San Isidro, in mezzo al traffico sulla strada a quattro corsie per ogni senso di marcia, è un susseguirsi di accelerate, frenate, sorpassi, cambi di direzione, suonate di clacson e braccia fuori dal finestrino per gesticolare e mandare a quel paese tutti quanti.

Arrivati al nostro hotel, sani e salvi, paghiamo per il tragitto di andata e ritorno più un'ora di stazionamento davanti all'Istituto la modica somma di venti sol (cinque euro).
Telefono a Renzo , fratello di Kiki e ci accordiamo per vederci in serata, dato che già domani non saremo più a Lima. Contatto anche il figlio della Kiki per avvertirlo che lascio in consegna presso l'hotel un pacchetto che ho portato dall'Italia.
Dopo esserci riposati un'ora, partiamo verso Las Molinas per visitare il Museo dell'Oro. Una collezione privata del magnate H. Stern, appassionato collezionista di arte e reperti storici . Il museo è veramente molto ricco e fornito , completo di tessuti antichi, oggetti d'oro, ceramiche e persino mummie.  Una enorme quantità di oggetti vari di epoche più recenti  rendono il museo un pò pacchiano,come dire " il troppo storpia"
Il rientro all'Hotel è lento a causa del traffico caotico nell'ora di punta.
Ore 19,00 rientro dal lavoro dei cittadini llimeni. A sera Renzo ci raggiunge all'hotel , è contentissimo e noi più di lui. Chiacchieriamo con foga, Renzo è un fiume in piena e gasatissimo. E' una persona intelligente e istruita ed è un piacere ascoltarlo, si crea un clima di allegria generale. Si emoziona parlando di quando Michele ed io eravamo ospiti a casa sua, nel 1986, coinvolgendo emotivamente anche tutti noi. Decidiamo di uscire e ci incamminiamo verso un centro commerciale dove ci sediamo al bar per prendere qualcosa da bere e mangiare, chiacchieriamo del più e del meno anche Francisco si diverte perché è in buona compagnia.
Alla fine, stanchi, perché non dormiamo da venti ore, salutiamo Renzo e ci ritiriamo in albergo per riposare.

01.10.2009

Oggi siamo diretti alla città di Huaraz, dista circa 400 km da Lima, famosa perché situata ai piedi della Cordigliera Bianca e per questo divenuta fulcro di una fiorente attività di escursionismo ,trekking e scalate ai ghiacciai più belli di tutte le Ande.
Huaraz è la città natia di Nicola, figlio adottivo di una coppia di cari amici, Rosetta e Gigi. Loro la hanno visitata più volte, anche in occasione della seconda adozione e ci hanno incaricato di recapitare dei regali ai parenti dei loro figli.
Partiamo con il bus della compagnia Croce del Sur, molto bello e comodo. Saliamo al secondo piano e ci accomodiamo nei posti davanti al finestrino.
I sedili sono morbidi e reclinabili, usufruiamo della televisione e del pasto caldo e di una vista a tutto tondo. Al momento della partenza, l'inserviente riprende tutti i passeggeri con la telecamera, giusto per sapere chi fosse seduto in questo o quell'altro  posto. Chiediamo spiegazioni a Francisco che sorridendo ci spiega il motivo di  ciò. Nel caso dovesse succedere un incidente,una rapina ecc.,ecco in tal caso le foto avrebbero una loro utilità. Sorpresi e preoccupati ci guardiamo negli occhi, nel frattempo Francisco ride divertito. Ci stava prendendo in giro , passata la preoccupazione ci distraiamo guardando il panorama a noi del tutto nuovo.
Il viaggio dura otto ore, percorriamo la strada che si snoda per un lungo tratto tra la periferia di Lima. Incontriamo paesi con case colorate avvolte da tralci di bouganville dai fiori quasi fosforescenti, campi coltivati a palmeti e coltivazioni di mais.

La Panamericana corre tra dune di sabbia, intravvediamo le onde dell'oceano in lontananza, poi la strada comincia a salire. I paesi sono sempre più rari ed il panorama cambia.
Cominciano ad apparire enormi praterie puntellate qua e la di verde, piante grasse enormi, erba secca. Tutto è vasto ed il contrasto tra terra e cielo è bellissimo. A mano a mano che si sale, le praterie diventano immense colline, le colline montagne brulle.

Un susseguirsi di colori; oro per l'erba, rosso la terra, azzurro vivo il cielo. Non riesco a dormire, guardo tutto con stupore e sono ammirata da tanta bellezza.
Raggiunto il passo, si apre una vasta spianata, una valle enorme (puna andina), brulla e completamente deserta .Non c'è anima viva e sembra di essere sulla luna. Lo sguardo spazia tra terra e cielo, nessun ostacolo si frappone ad esso.

Sembra impossibile, siamo nel 2009 e qui tutto è intatto. Anche se siamo comodamente seduti in autobus, avvertiamo un senso di affaticamento e la respirazione si fa affannosa, ci rendiamo conto di essere a 3000 metri di altitudine.
L'imbrunire ci accompagna a Huaraz, dove giungiamo senza alcun contrattempo. Il tramonto, bellissimo, arriva appena dopo le 18.00.

Alla stazione degli autobus c'è una gran confusione, una moltitudine di turisti indaffarati nel recuperare i bagagli. I taxisti si spintonano per offrire la loro auto, ma Francisco sa già dove farci salire, cioè in quello piu' economico. Huaraz è una cittadina caotica e più grande di quello che ci aspettavamo, vivacemente animata dai residenti e da una moltitudine di turisti, per lo più sportivi.
L'hotel Casa de Zarela è una costruzione in stile coloniale, la camera spaziosa, i letti comodi, dotata di servizi e postazione internet. Vi alloggiano turisti per lo più giovani e guide andine che li condurranno sui ghiacciai o nel trekking sulla Cordigliera Bianca. Vi alloggia anche Takeda,noto scalatore ,ora pubblicizza il noto marchio americano dell'attrezzatura  sportiva "Marmot" scalando le vette andine dell'ancash.

Telefoniamo a nostro figlio Federico per sapere come sta e per avvertirlo che qui va tutto bene. Lui è rimasto in Italia per seguire gli studi universitari.
Huaraz è situata nella valle del Callejon de Huaylas, nella regione dell'Ancash, tra le catene montuose della Cordigliera Blanca e la Cordigliera Negra. 
 
02.10.2009
Breve passeggiata di acclimatamento (si fa per dire!).
Partiamo di prima mattina, dopo un'ora di strada in taxi raggiungiamo il punto di partenza verso la laguna Churup, un lago glaciale chiamato anche Porta del Ciel,

Paolo, Michele e Francisco si avviano di buon passo. Io li seguo lentamente, dopo venti minuti comincio già a rallentare e ad avere il fiato corto.
Devo fermarmi di continuo,mi siedo per riposare un po', poi riparto. Piano piano, con calma, Francisco mi ripete di non avere fretta. Riprendo faticosamente la salita, un piede avanti all'altro, sei passi alla volta, proseguo così per un tratto di strada. Mi gira la testa, sono confusa e mi stendo per riprendere fiato. Francisco mi da una manciata di foglie di coca e mi insegna come masticarle senza ingerirle, questo rimedio dovrebbe attenuare i sintomi di affaticamento da altitudine. Non sento alcun miglioramento, decido di fermarmi e di tornare indietro visto che da questo punto si intravvede la base di partenza.
Francisco, Paolo e Michele vanno avanti, io mi godo il panorama contenta della mia decisione. Dopo un po' sopraggiunge una comitiva di turisti svizzeri, accompagnati da due guide andine che chiacchierano un po' con me, spiego loro che sono intenzionata a scendere, annuiscono sorridendo e ci salutiamo.  


Nel mentre rammento che quei turisti, la sera prima, erano al ristorante da Patrich dove avevamo cenato pure noi. Avevano bevuto molto e noi avevamo supposto che l'indomani non sarebbero stati in grado di fare alcunchè. 
Scatta in me un senso di orgoglio , improvvisamente mi sento forte e mi accodo a loro. Ricomincio a salire, li supero, intravvedo il mio gruppo e mi sbraccio per segnalare la mia presenza. Loro si accorgono di me e si fermano per aspettarmi, sono stupiti e contenti.
Siamo a 4000 m.di altitudine, punto di partenza 3480m. Nel frattempo,
anche Michele comincia a manifestare sintomi da affaticamento. Ansima, si ferma.
Lo aspetto, sostiamo di frequente, dopo cinque passi ci sediamo, ci sosteniamo a vicenda, fotografiamo i fiori. Il traguardo sembra vicino, Michele vorrebbe fermarsi, io lo incoraggio e proseguiamo un altro po', non capendo quanto fosse difficile per lui. Paolo e Francisco ci aspettano, poi proseguono, noi siamo in debito di ossigeno. Teniamo duro, siamo quasi arrivati. L'aria rarefatta provoca un malessere strano, facciamo fatica a respirare.
Michele ha mal di testa, vorrebbe fermarsi definitivamente, io non demordo e vado avanti. 

Superiamo un tratto scoperto, Francisco ci aiuta nei punti più pericolosi, saliamo ancora, ancora un altro po'. Finalmente arriviamo al lago Churup ed è bellissimo.

L'acqua è di un colore verde smeraldo, in certi punti il colore cambia per opera delle alghe: verde chiaro, giallo, blu, bianco. 

Saliamo sui massi enormi che ci sono la vicino e ci stendiamo esausti. Michele è confuso, gli ci vorrà un po' di tempo per rimettersi in sesto.
Nelle immediate vicinanze, due ragazze hanno piantato la tenda con l'intenzione di passare la notte quassù, che coraggio. Siamo a quota 4450 m.
Ci incamminiamo per scendere, meno faticoso ora, ma il sentiero roccioso e ripido richiede attenzione. Paolo scivola, io anche, Francisco prevede che fra poco incontreremo vento forte e pioggia, vuole scendere prima del temporale.
In lontananza un fulmine si staglia perpendicolare al terreno, comincio a preoccuparmi ed accelero l'andatura. In discesa vado forte, la strada è ancora lunga e, come previsto da Francisco, il temporale ci sorprende proprio nel punto che aveva segnalato. A me i temporali sono sempre piaciuti, il vento mi da energia. I poncho fanno vela, dobbiamo fare dei nodi per tenerli chiusi. L'acqua si infiltra e ci bagna i pantaloni e le felpe, la grandine ci sferza il viso. La mia gamba  sinistra esposta all'acqua è diventata insensibile. Continuiamo imperterriti e veloci, Paolo è preoccupato per Michele e per me.
Proseguo con cautela ma con costanza, intravvedo l'arrivo. Francisco è in contatto telefonico con la base, di tanto in tanto si ferma per poi incamminarsi con passo regolare. Arriviamo bagnati fradici, saliamo in taxi che è guidato da Robiño, un ragazzo tranquillo ed allegro.
I garoti (bravi ragazzi) chiacchierano in quechua e scherzano come al solito. Siamo infreddoliti e non vediamo l'ora di tornare da Zarela, ma non possiamo fare a meno di divertirci sentendoli parlare.  
Paolo si preoccupa perchè i nostri scarponi sono fradici e non potremo usarli l'indomani, chiede consiglio a Francisco che stà tremando come una foglia ed ha fretta di andarsi a cambiare.
Ci corichiamo dopo esserci assicurati una doccia caldissima, un tè bollente e la boulle dell'acqua calda. Riusciamo a scaldarci solamente dopo due ore di tempo. C'è musica nei paraggi dell'hotel, probabilmente una festa. Incuriosita vorrei scendere ed uscire, ma Paolo e Michele non hanno intenzione di muoversi e così ascolto la musica, che continua per tutta la notte. Alle cinque della mattina mi sveglio, la musica prosegue incessante, sempre con lo stesso ritornello.