giovedì 2 dicembre 2010

NELLA TERRA DEGLI INCA
ricordi ed emozioni


Abbiamo organizzato questo viaggio in soli venti giorni, 
con l'aiuto professionale di Edgar Roca, cittadino peruviano e guida andina, dopo che nostro figlio Michele maturò autonomamente e consapevolmente il desiderio di conoscere il paese dove è nato.
In primavera partecipammo alla presentazione da parte di Edgar, dei percorsi di trekking nell'Ancash, delle scalate alle cime della Cordigliera Bianca e della scoperta del mondo e della cultura Inca. Abbiamo deciso, non senza qualche preoccupazione, che questo tipo di viaggio fosse quello giusto per noi. Ci siamo immersi nella realtà andina, armati di spirito di adattamento, umiltà e curiosità, rimanendo enormemente colpiti dalle bellezze dei luoghi e dall'umanità delle persone. 

 
29.09.2009
Partiamo in orario 19.15, dall'aeroporto Marco Polo di Venezia. Arriviamo a Madrid come previsto alle ore 21.45. L'aeroporto è molto bello ed estesissimo. 

Per raggiungere il terminal dell'Iberia, per i voli intercontinentali, dobbiamo percorrere un breve tragitto in metropolitana.

30.09.2009
Il viaggio da Madrid a Lima è lungo, ma tranquillo anche se un po’ scomodo, dormiamo poco e male, ma arriviamo a Lima in anticipo, ore 6.00 del mattino.
30.09.2009
L’aeroporto di Lima è grande e nuovissimo, molto pulito e curato. Superiamo i controlli senza alcun intoppo. All’uscita ci aspetta Francisco, nostra guida andina, regge un cartello con scritto: Paulino Cristina Michele. Ci presentiamo e salutiamo cordialmente e insieme ci dirigiamo verso l’uscita.
Veniamo presi d'assalto dai taxisti presenti nel piazzale, Francisco ci assicura che il nostro taxi arriverà presto e quindi aspettiamo. Alla fine arriva un’auto berlina , Francisco ed il taxista cercano di stipare i bagagli all'interno. Rimaniamo perplessi. Sembra impossibile che le nostre cinque valigie ed i tre zaini possano trovar posto, visto che metà bagagliaio è occupato dal bombolone dell’impianto a gas.
Riusciamo comunque a caricare tutto, compresi noi e Francisco. Come ci siamo riusciti è ancora un mistero. Durante il tragitto Francisco di sottecchi osserva Michele che è seduto davanti, l’autista si destreggia in mezzo al traffico caotico, zigzagando a destra ed a sinistra per evitare collisioni.
Euforici ci aggrappiamo nervosamente alle valigie e in cuor nostro ci auguriamo di arrivare presto all'hotel, anche se durante il tragitto ci divertiamo da morire. Nella strada improbabili motociclette  costruite artigianalmente assemblando tra loro pezzi di auto moto e bici, corrono e ci superano strombettando e caracollando paurosamente. Autobus colorati e vecchie auto si mescolano a suv di grossa cilindrata. Un caos  infernale.

Sono appena le 7 del mattino, ci rechiamo in un bar  per fare colazione . L'ambiente è  nuovo e gestito da una equipe di ragazzi e ragazze giovani e  spigliati che ci riconoscono come italiani e parlano dell'euro come moneta ambita.
Dopo aver cambiato il denaro cerchiamo un taxi con il quale recarci all'istituto dove si trovava Michele nel 1986. Diversi taxisti si rifiutano di accompagnarci, non conoscono il posto, oppure ci dicono che è troppo lontano. Alla fine uno accetta e ritorniamo nel traffico caotico di Lima.
Il conducente è un po' loco(matto) guida veloce e coinvolge Francisco in un interminabile dialogo, è
infuriato perchè la sorella sedicenne aspetta un bambino e non è neppure sposata.  Afferra la leva del cambio come fosse il collo dell'autore  del malfatto , guida nervosamente . Un pedone, incautamente, cerca di attraversare la strada peraltro sulle strisce pedonali, il taxista inchioda l'auto e sbraita dal finestrino: “hola loco, vee que se te investo non toma mas cafè”.

Dopo tre quarti d'ora riusciamo a rintracciare l'Istituto che ora si chiama Hogar S.Antonio. Chiediamo informazioni ad una guardia in motocicletta che ci scorta fino all'entrata. Suoniamo ripetutamente il campanello, ci apre una impiegata che vuole sapere il motivo della visita. Ci prega di attendere perché deve chiedere il permesso alla direttrice, la quale ci riceve in ufficio. Michele è emozionato ma tranquillo, mi chiede se l'Istituto è proprio questo, se me lo ricordo così come è.
In effetti, ricordo bene l'ufficio dove quella volta avevo aspettato che mi portassero il neonato ed anche la struttura esterna, con la scala da dove era scesa l'educatrice con Michele in braccio. Il personale non si ricorda di lui in particolare, c'è stato un avvicendamento degli educatori ed ora non sono più gli stessi. Paolo ed io siamo molto tesi, la direttrice ci dice che in questo periodo custodiscono bambini da 3 agli 8 anni e che tre di loro sono adottabili subito. I neonati sono ora in un'altra sede .
La direttrice ci vuole presentare i bambini , colta di sorpresa avverto un senso di panico, una senzazione nuova e d'impulso rispondo che non sono emotivamente preparata. Michele invece ci tiene tanto. Così, timidamente, la seguiamo e ci emozioniamo da morire, sono agitata e mi sembra di essere isolata dal resto del mondo.
Normalmente sono molto affettuosa e coinvolgente con i bambini, ma ora non riesco proprio a muovermi, nè a dire nulla. Tutti i bambini chiamano “mamy”, sia la direttrice che le inservienti. Il posto è pulito, ma abbastanza impersonale e soprattutto si avverte la mancanza di allegria.
Ci sono otto bambini, tra maschi e femmine, tutti bellissimi, ci corrono incontro curiosi e timidi. Tutti molto svegli ed attenti, quelli più grandi sono più quieti. Noi li salutiamo, consegniamo loro le caramelle ed i giochi che abbiamo portato, li accarezzo sulla testa, le mani mi tremano per l'emozione, non riesco a dire niente perché mi viene da piangere.
In quale veste sono qua? Come mi vedono questi bambini ? Che diritto ho di toccarli, accarezzarli e poi andare via come niente fosse?
La direttrice ci spiega che al piano superiore è situata la camera nella quale si trovava Michele, insieme ad altri neonati. L'avevo sempre immaginata enorme e vuota, invece, ora ci sono due file di lettini, delle mensole con grandi pupazzi di peluche e trapunte colorate, ben piegate e troppo pulite per essere usate abitualmente. Il pavimento in legno è pulito. Delle barbie, ancora nelle loro scatole, sono in bella mostra su di una libreria. Ho l'impressione che i giochi non vengano mai adoperati, chiedo alla direttrice perché sono riposti così in alto, lei mi risponde che di giorno li spostano perché devono riordinare. Mah....!
Arrivano delle bambine in divisa scolastica, sembrano sorprese nel vederci, noi regaliamo loro delle caramelle e le salutiamo. Scendiamo di sotto ed incontriamo altri bambini. Alla fine usciamo con un groppo alla gola e il pianto nel cuore. Da quello che abbiamo potuto vedere l'Istituto riceve aiuti dalla Croce Rossa o Caritas, perché del personale sta smistando pacchi di vestiario.
All'uscita il taxista “loco” sta lucidando il taxi, la guardia è ancora là e ci scorta per un tratto di strada. Paolo vorrebbe dargli una mancia ed estrae del denaro dalla tasca, il taxista osserva la scena e si innervosisce, parla con Francisco che immediatamente spinge Paolo dentro all'auto. Non c'è molto da fidarsi delle persone che non si conoscono, anche se in divisa.
Il viaggio di ritorno a San Isidro, in mezzo al traffico sulla strada a quattro corsie per ogni senso di marcia, è un susseguirsi di accelerate, frenate, sorpassi, cambi di direzione, suonate di clacson e braccia fuori dal finestrino per gesticolare e mandare a quel paese tutti quanti.

Arrivati al nostro hotel, sani e salvi, paghiamo per il tragitto di andata e ritorno più un'ora di stazionamento davanti all'Istituto la modica somma di venti sol (cinque euro).
Telefono a Renzo , fratello di Kiki e ci accordiamo per vederci in serata, dato che già domani non saremo più a Lima. Contatto anche il figlio della Kiki per avvertirlo che lascio in consegna presso l'hotel un pacchetto che ho portato dall'Italia.
Dopo esserci riposati un'ora, partiamo verso Las Molinas per visitare il Museo dell'Oro. Una collezione privata del magnate H. Stern, appassionato collezionista di arte e reperti storici . Il museo è veramente molto ricco e fornito , completo di tessuti antichi, oggetti d'oro, ceramiche e persino mummie.  Una enorme quantità di oggetti vari di epoche più recenti  rendono il museo un pò pacchiano,come dire " il troppo storpia"
Il rientro all'Hotel è lento a causa del traffico caotico nell'ora di punta.
Ore 19,00 rientro dal lavoro dei cittadini llimeni. A sera Renzo ci raggiunge all'hotel , è contentissimo e noi più di lui. Chiacchieriamo con foga, Renzo è un fiume in piena e gasatissimo. E' una persona intelligente e istruita ed è un piacere ascoltarlo, si crea un clima di allegria generale. Si emoziona parlando di quando Michele ed io eravamo ospiti a casa sua, nel 1986, coinvolgendo emotivamente anche tutti noi. Decidiamo di uscire e ci incamminiamo verso un centro commerciale dove ci sediamo al bar per prendere qualcosa da bere e mangiare, chiacchieriamo del più e del meno anche Francisco si diverte perché è in buona compagnia.
Alla fine, stanchi, perché non dormiamo da venti ore, salutiamo Renzo e ci ritiriamo in albergo per riposare.

01.10.2009

Oggi siamo diretti alla città di Huaraz, dista circa 400 km da Lima, famosa perché situata ai piedi della Cordigliera Bianca e per questo divenuta fulcro di una fiorente attività di escursionismo ,trekking e scalate ai ghiacciai più belli di tutte le Ande.
Huaraz è la città natia di Nicola, figlio adottivo di una coppia di cari amici, Rosetta e Gigi. Loro la hanno visitata più volte, anche in occasione della seconda adozione e ci hanno incaricato di recapitare dei regali ai parenti dei loro figli.
Partiamo con il bus della compagnia Croce del Sur, molto bello e comodo. Saliamo al secondo piano e ci accomodiamo nei posti davanti al finestrino.
I sedili sono morbidi e reclinabili, usufruiamo della televisione e del pasto caldo e di una vista a tutto tondo. Al momento della partenza, l'inserviente riprende tutti i passeggeri con la telecamera, giusto per sapere chi fosse seduto in questo o quell'altro  posto. Chiediamo spiegazioni a Francisco che sorridendo ci spiega il motivo di  ciò. Nel caso dovesse succedere un incidente,una rapina ecc.,ecco in tal caso le foto avrebbero una loro utilità. Sorpresi e preoccupati ci guardiamo negli occhi, nel frattempo Francisco ride divertito. Ci stava prendendo in giro , passata la preoccupazione ci distraiamo guardando il panorama a noi del tutto nuovo.
Il viaggio dura otto ore, percorriamo la strada che si snoda per un lungo tratto tra la periferia di Lima. Incontriamo paesi con case colorate avvolte da tralci di bouganville dai fiori quasi fosforescenti, campi coltivati a palmeti e coltivazioni di mais.

La Panamericana corre tra dune di sabbia, intravvediamo le onde dell'oceano in lontananza, poi la strada comincia a salire. I paesi sono sempre più rari ed il panorama cambia.
Cominciano ad apparire enormi praterie puntellate qua e la di verde, piante grasse enormi, erba secca. Tutto è vasto ed il contrasto tra terra e cielo è bellissimo. A mano a mano che si sale, le praterie diventano immense colline, le colline montagne brulle.

Un susseguirsi di colori; oro per l'erba, rosso la terra, azzurro vivo il cielo. Non riesco a dormire, guardo tutto con stupore e sono ammirata da tanta bellezza.
Raggiunto il passo, si apre una vasta spianata, una valle enorme (puna andina), brulla e completamente deserta .Non c'è anima viva e sembra di essere sulla luna. Lo sguardo spazia tra terra e cielo, nessun ostacolo si frappone ad esso.

Sembra impossibile, siamo nel 2009 e qui tutto è intatto. Anche se siamo comodamente seduti in autobus, avvertiamo un senso di affaticamento e la respirazione si fa affannosa, ci rendiamo conto di essere a 3000 metri di altitudine.
L'imbrunire ci accompagna a Huaraz, dove giungiamo senza alcun contrattempo. Il tramonto, bellissimo, arriva appena dopo le 18.00.

Alla stazione degli autobus c'è una gran confusione, una moltitudine di turisti indaffarati nel recuperare i bagagli. I taxisti si spintonano per offrire la loro auto, ma Francisco sa già dove farci salire, cioè in quello piu' economico. Huaraz è una cittadina caotica e più grande di quello che ci aspettavamo, vivacemente animata dai residenti e da una moltitudine di turisti, per lo più sportivi.
L'hotel Casa de Zarela è una costruzione in stile coloniale, la camera spaziosa, i letti comodi, dotata di servizi e postazione internet. Vi alloggiano turisti per lo più giovani e guide andine che li condurranno sui ghiacciai o nel trekking sulla Cordigliera Bianca. Vi alloggia anche Takeda,noto scalatore ,ora pubblicizza il noto marchio americano dell'attrezzatura  sportiva "Marmot" scalando le vette andine dell'ancash.

Telefoniamo a nostro figlio Federico per sapere come sta e per avvertirlo che qui va tutto bene. Lui è rimasto in Italia per seguire gli studi universitari.
Huaraz è situata nella valle del Callejon de Huaylas, nella regione dell'Ancash, tra le catene montuose della Cordigliera Blanca e la Cordigliera Negra. 
 
02.10.2009
Breve passeggiata di acclimatamento (si fa per dire!).
Partiamo di prima mattina, dopo un'ora di strada in taxi raggiungiamo il punto di partenza verso la laguna Churup, un lago glaciale chiamato anche Porta del Ciel,

Paolo, Michele e Francisco si avviano di buon passo. Io li seguo lentamente, dopo venti minuti comincio già a rallentare e ad avere il fiato corto.
Devo fermarmi di continuo,mi siedo per riposare un po', poi riparto. Piano piano, con calma, Francisco mi ripete di non avere fretta. Riprendo faticosamente la salita, un piede avanti all'altro, sei passi alla volta, proseguo così per un tratto di strada. Mi gira la testa, sono confusa e mi stendo per riprendere fiato. Francisco mi da una manciata di foglie di coca e mi insegna come masticarle senza ingerirle, questo rimedio dovrebbe attenuare i sintomi di affaticamento da altitudine. Non sento alcun miglioramento, decido di fermarmi e di tornare indietro visto che da questo punto si intravvede la base di partenza.
Francisco, Paolo e Michele vanno avanti, io mi godo il panorama contenta della mia decisione. Dopo un po' sopraggiunge una comitiva di turisti svizzeri, accompagnati da due guide andine che chiacchierano un po' con me, spiego loro che sono intenzionata a scendere, annuiscono sorridendo e ci salutiamo.  


Nel mentre rammento che quei turisti, la sera prima, erano al ristorante da Patrich dove avevamo cenato pure noi. Avevano bevuto molto e noi avevamo supposto che l'indomani non sarebbero stati in grado di fare alcunchè. 
Scatta in me un senso di orgoglio , improvvisamente mi sento forte e mi accodo a loro. Ricomincio a salire, li supero, intravvedo il mio gruppo e mi sbraccio per segnalare la mia presenza. Loro si accorgono di me e si fermano per aspettarmi, sono stupiti e contenti.
Siamo a 4000 m.di altitudine, punto di partenza 3480m. Nel frattempo,
anche Michele comincia a manifestare sintomi da affaticamento. Ansima, si ferma.
Lo aspetto, sostiamo di frequente, dopo cinque passi ci sediamo, ci sosteniamo a vicenda, fotografiamo i fiori. Il traguardo sembra vicino, Michele vorrebbe fermarsi, io lo incoraggio e proseguiamo un altro po', non capendo quanto fosse difficile per lui. Paolo e Francisco ci aspettano, poi proseguono, noi siamo in debito di ossigeno. Teniamo duro, siamo quasi arrivati. L'aria rarefatta provoca un malessere strano, facciamo fatica a respirare.
Michele ha mal di testa, vorrebbe fermarsi definitivamente, io non demordo e vado avanti. 

Superiamo un tratto scoperto, Francisco ci aiuta nei punti più pericolosi, saliamo ancora, ancora un altro po'. Finalmente arriviamo al lago Churup ed è bellissimo.

L'acqua è di un colore verde smeraldo, in certi punti il colore cambia per opera delle alghe: verde chiaro, giallo, blu, bianco. 

Saliamo sui massi enormi che ci sono la vicino e ci stendiamo esausti. Michele è confuso, gli ci vorrà un po' di tempo per rimettersi in sesto.
Nelle immediate vicinanze, due ragazze hanno piantato la tenda con l'intenzione di passare la notte quassù, che coraggio. Siamo a quota 4450 m.
Ci incamminiamo per scendere, meno faticoso ora, ma il sentiero roccioso e ripido richiede attenzione. Paolo scivola, io anche, Francisco prevede che fra poco incontreremo vento forte e pioggia, vuole scendere prima del temporale.
In lontananza un fulmine si staglia perpendicolare al terreno, comincio a preoccuparmi ed accelero l'andatura. In discesa vado forte, la strada è ancora lunga e, come previsto da Francisco, il temporale ci sorprende proprio nel punto che aveva segnalato. A me i temporali sono sempre piaciuti, il vento mi da energia. I poncho fanno vela, dobbiamo fare dei nodi per tenerli chiusi. L'acqua si infiltra e ci bagna i pantaloni e le felpe, la grandine ci sferza il viso. La mia gamba  sinistra esposta all'acqua è diventata insensibile. Continuiamo imperterriti e veloci, Paolo è preoccupato per Michele e per me.
Proseguo con cautela ma con costanza, intravvedo l'arrivo. Francisco è in contatto telefonico con la base, di tanto in tanto si ferma per poi incamminarsi con passo regolare. Arriviamo bagnati fradici, saliamo in taxi che è guidato da Robiño, un ragazzo tranquillo ed allegro.
I garoti (bravi ragazzi) chiacchierano in quechua e scherzano come al solito. Siamo infreddoliti e non vediamo l'ora di tornare da Zarela, ma non possiamo fare a meno di divertirci sentendoli parlare.  
Paolo si preoccupa perchè i nostri scarponi sono fradici e non potremo usarli l'indomani, chiede consiglio a Francisco che stà tremando come una foglia ed ha fretta di andarsi a cambiare.
Ci corichiamo dopo esserci assicurati una doccia caldissima, un tè bollente e la boulle dell'acqua calda. Riusciamo a scaldarci solamente dopo due ore di tempo. C'è musica nei paraggi dell'hotel, probabilmente una festa. Incuriosita vorrei scendere ed uscire, ma Paolo e Michele non hanno intenzione di muoversi e così ascolto la musica, che continua per tutta la notte. Alle cinque della mattina mi sveglio, la musica prosegue incessante, sempre con lo stesso ritornello.

03.10.2009

Laguna di Llanganuco.
Partiamo di prima mattina con l'auto di Robiño.
Lui e Francisco parlano e ridono sempre, scherzano cameratescamente, sono molto uniti tra loro.
Gli scarponi sistemati sopra i bagagli ed ha contatto con il finestrino dell'auto si asciugano sotto il sole cocente.
Per tutto il viaggio la radio trasmette musica andina, l'auto corre senza fretta, Robiño ha una guida prudente ma il traffico è, a volte, intenso e sempre disordinato.
Durante le quattro ore di strada, il panorama varia in continuazione. Transitiamo tra piccoli agglomerati di case, quasi tutte basse con porte piccole rispetto a quelle delle case di città,spesso mancanti di finestre.  Probabilmente durante la stagione delle piogge l'interno rimane protetto dall'acqua. Alcune sono in costruzione, altre in fase di ristrutturazione, tutto è molto polveroso. Siamo nella stagione secca, la polvere è dappertutto, compreso su di noi, dato che i finestrini sono sempre aperti come di consuetudine. Ci sorpassano camion, fuoristrada, auto e pullman turistici.

A destra ed a sinistra della strada ci sono piante grasse di vario tipo, lo stelo del fiore è alto quanto il fusto di un albero.
Le bouganville multicolori si avvinghiano a piante di rose rampicanti e si mescolano agli ibiscus . Superiamo fabbriche di mattoni in terra, gruppi di maiali, piccole greggi di pecore e qualche mucca. Incontriamo campesinos, le donne indossano le tipiche gonne coloratissime, molte di loro portano il figlioletto sulla schiena.
Il sole scotta e per questo indossano cappelli a tesa larga. Anch'io ho bisogno di un cappello, è indispensabile, così ci fermiamo al mercato di Yungay per comprarne uno. Il mercato è grande e coloratissimo, principalmente vi sono bancarelle di frutta e verdura, merce di tutti i colori, rivendite di pane, dolci, vestiario.

Ci sono molti bambini con le madri vestite con gli abiti tipici dei campesinos peruani. Mi compro un cappello qualsiasi a tesa larga che mi calza bene, acquistiamo del pane e due paste per i garoti, che se le gustano con tutta calma.
Noi tre non abbiamo fame per via dell'altitudine. La gente ci osserva e ci riconosce come turisti ma si fa gli affari suoi. 

Ci avviamo verso Llanganuco, la strada di sassi si inerpica tra i monti, Francisco ci elenca i nomi delle cime innevate. Incontriamo bambini che vanno a scuola, bambini che pascolano le pecore, da soli o con le madri. I campesinos lavorano nei campi ancora con il tipico aratro dal puntale in ferro, noi guardiamo a destra ed a sinistra fotografando quasi tutto. All'improvviso scorgiamo due fratellini seduti su di un muretto, chiedo a Robiño di fermare l'auto, scendiamo e ci avviciniamo.
Loro sono perplessi, regalo,provando un insolito senso di disagio,  una bambola (pippi calzelunghe) che era di Anna e di Giorgia alla bambina.

Lei non crede ai propri occhi, la guarda ammirata, le chiedo se le piace e mi risponde felice con un sorriso dolcissimo. Al fratellino regalo una macchinina, lui è felice ed incredulo, poi ad entrambi lascio le caramelle e la scatola di pennarelli. Sono contentissimi e noi emozionati. Bacio la bambina sulla guancia, il fratello mi porge anche la sua ed io gli stampo due bacioni sulle gote. 
Prima di partire dall'Italia Edgar ci ha detto che se volevamo,potevamo portare in Perù colori e giochi per i bambini. Così abbiamo aggiunto una valigia colma di peluche ed altra merce da regalare.
Quando ripartiamo mi giro per osservarli, lei tiene la bambola davanti agli occhi, incantata, non riesco a vederla in viso. Lui sta già correndo verso la madre. Arriviamo alla laguna di Llanganuco, un lago glaciale verde chiaro che cambia colore continuamente in base al variare dell'ombra delle nuvole ed ai raggi del sole che lo sovrastano.

Un bosco di alberi di quenal (albero tipico dal tronco coperto di leggerissime fogli di corteccia dorata e trasparente) copre la radura lì vicino.

In una bancarella una signora vende artigianato tipico, soprattutto calzini, guanti, sciarpe e berretti di lana. Un lama infiocchettato e austero ci guarda con fare sussiegoso.
Lo fotografiamo a distanza, Michele ed io siamo tentati di salire in groppa ma non ci fidiamo. Michele continua ad avere mal di testa, le medicine ed il mate de coca (infuso di foglie di coca efficace contro il mal d'altura) non hanno avuto nessun effetto.

Sul lago ci sono delle barche dipinte di verde che ondeggiano, vorremmo fare un giro, ma c'è vento forte e desistiamo. Risaliamo in auto e raggiungiamo l'accampamento ed i ragazzi che ci stanno aspettando. Arriviamo in un posto stupendo, sull'erba scorgiamo i turgidi fiori arancio delle piante grasse,                                                                                                                                                             

 tra i quenal scorre l'acqua del torrente che scende dal lago glaciale.

Tutto intorno le montagne ci avvolgono e proprio davanti alla nostra tenda si staglia il ghiacciaio Huascaran 6768 m.la cima più alta del Perù.
Ci sentiamo tranquilli ed estasiati, passeggiamo nei paraggi per curiosare un po', poi incontriamo Thomas, il cuoco che ci preparerà la cena di questa sera. E' un ragazzo piccolino con un viso largo ed il sorriso pronto, lui e Francisco preparano le patate e altre verdure, scherzano, corrono. In un lampo salgono e scendono dai pendii circostanti, si divertono come bambini. Ceniamo tranquilli alla luce delle torce e delle candele, intorno il buio completo, solo la luna ci permette di ammirare il profilo dei monti tutto intorno a noi. La sistemazione in tenda è confusa e un po' a casaccio.
Il mio sacco a pelo è quello meno caldo e la notte non si presenta tranquilla.
Michele ha mal di testa, nonostante gli antidolorifici. Alla fine ci addormentiamo ma ci svegliamo spesso perché siamo scomodi ed io ho freddo. Anche se la notte è stellata l'umidità si sente e mi copro ulteriormente con la giacca a vento. In piena notte Paolo mi sveglia dice che Michele sta male, insisto perchè prenda una tachipirina e attendiamo con ansia che gli passi el soroche (il mal di testa), una sensazione di compressione molto forte alle meningi. Cerco di calmare Paolo che è in apprensione e non vuole saperne di rimettersi a dormire.
Prima di partire la Kiki mi aveva avvertita che poteva succedere e quindi cerco di minimizzare sperando che arrivi presto l'alba. Dopo una notte tribolata Francisco ci sveglia, vuole mostrarci le montagne illuminate dal sole nascente, il ghiacciaio si colora di rosa che sfuma in azzurrino e bianco. 

Fa freddo e così, per scaldarci, collaboriamo con i garoti per preparare la colazione.
Per fortuna Michele dorme fino a tardi, Paolo ed io rimaniamo nei paraggi della tenda. Cominciano ad arrivare turisti diretti alla laguna sessantanove, c'è anche una ragazza che avevamo incontrato all'hotel di Lima, ci riconosce e ci salutiamo. Lei viaggia da sola, in tutta tranquillità. 

Paolo si incammina verso la laguna superiore, per incontrare il resto del nostro gruppo che sta scendendo dal rifugio Perù . Questo rifugio dell' O.M.G.(costruito dai ragazzi del posto in pochi mesi) è stato fortemente voluto da Edgar Roca affinchè l'attività ivi prodotta potesse essere di sostentamento ai giovani e alle loro famiglie.
Paolo porta con se un walkie talkie per restare in contatto con il campo base e con Cesar.

Nel frattempo Michele si sveglia e non sta ancora bene, i ragazzi gli preparano il mate de coca e sono sicuri che farà effetto. Osservo i monti Alpamayo, l'Huandoy ed il Chopilcalqui, sono più innevati di ieri e sono magnifici.
Paolo arriva verso mezzogiorno insieme a Cesar, la nostra guida. Cappello bianco tipico di Chacas, lo sguardo vivace e il sorriso sincero.
Ci conquista subito con la sua simpatia e disponibilità. Ci consiglia di scendere di altitudine, il programma è di andare a Caraz e di starci due giorni, poi risalire di duecento metri a Carhuaz e qui sostare un altro giorno, quindi partire per Huaraz.
Insisto perchè Paolo prosegua il tour come previsto, lui preferisce rimanere con Michele finchè si sarà ripreso dal malessere.
Cesar ci racconta che anche un componente dell'altro gruppo ha avuto mal di testa e febbre a 40, la dottoressa lo ha curato ed è stato meglio. Ciononostante, noi preferiamo scendere di quota, così Cesar contatta un taxista e, caricate le valigie, partiamo insieme a Francisco, che ci accompagnerà per tutto il tempo. 
Questo imprevisto cambio di programma ci permetterà di seguire un itinerario sconosciuto ai più,a volte ripetitivo ,comunque ricco di emozioni e libero da vincoli di orari e scadenze inevitabili ,quando si è in comitiva.
In taxi raggiungiamo il punto di partenza della laguna di Llanganuco, quindi trasferiamo i bagagli in una altra auto e partiamo verso Caraz. Michele si addormenta, la strada bianca è lunga e polverosa. I finestrini dell'auto rimangono sempre aperti e l'auto si riempie di polvere, la radio trasmette musica andina in continuazione.
Noi siamo quieti e guardiamo il paesaggio un po' in apprensione poiché il taxi corre più in contromano che sulla destra. Vi sono, infatti, molti sassi che sono stati spostati dal passaggio degli animali e sono caduti sulla corsia di marcia. All'improvviso notiamo una bambina di circa tre anni camminare scalza sulla strada. E' completamente estraniata da ciò che la circonda, nemmeno ci vede.
Tra le mani regge un ramoscello che le serve per guidare le tre pecore che già si trovano nel campo, oltre la strada. Non potrò dimenticare mai l'espressione di quel visetto: un misto di profonda tristezza e rassegnazione, una inespressività così strana da far dolere il cuore.
Abbiamo un attimo di smarrimento. Anche Francisco ed il taxista commentano amaramente l'accaduto. Quella bambina da sola in mezzo al caos mi fa pena, in auto piango perché non mi sò rassegnare all'idea di non aver fatto niente per aiutarla.

04.10.2009

Arrivati a Caraz, depositiamo i bagagli in hotel, ci facciamo una doccia ed usciamo quasi subito per sgranchirci le gambe.
Michele sembra stare già meglio, io sono triste, il pensiero sempre rivolto alla bambina, così trascurata da credere che nessuno si occupi di lei.
Di notte non dormo, spesso piango sommessamente, Paolo mi consola ed alla fine mi addormento. La mattina dopo mi riprometto di andarla a cercare anche se la strada da percorrere è molta. A Caraz andiamo a visitare le rovine, il museo, il mercato, girovaghiamo nella piazza e cerchiamo un posto dove mangiare. Proprio davanti alla piazza c'e' un locale molto grande, pieno di tavoli, una confusione di gente per lo più del posto.
Il cameriere è un ragazzino di Caraz che lavora tutto il giorno. E' sempre sorridente ed un po' imbranato, ad ogni ordinazione si dimentica qualcosa ma è

simpatico e gentile così torniamo la sera ed il giorno dopo.
Il pensiero della piccola si affievolisce un po' alla volta, però chiedo a Francisco se possiamo andare a cercarla per portarle qualche genere di prima necessità. Francisco a questa richiesta rimane perplesso, però dice che si può fare.
Mi rassereno, ma nel pomeriggio il programma cambia e non se ne fa più nulla. Per consolarmi, penso che nei prossimi giorni avrò modo di aiutare qualcun altro e allontano i pensieri malinconici.

07.10.2009

Partiamo per Carhuaz, che dista 30 km da Huaraz e da Yungay, in centro c'è una grande e bella piazza, ornata da palme e roseti.
E' una bella cittadina, c'è un mercato molto grande e ricco di merce di ogni tipo ed un bellissimo negozio e laboratorio dove due ragazze confezionano a mano i tipici cappelli del posto. Sono a tesa larga, molto alti e decorati con un nastro canetè fissato su di un lato a mo' di coccarda, appena appoggiati un po' di sbieco sulla testa.
Ne ho provati alcuni, ma mi andavano stretti, la prossima volta me ne farò fare uno su misura.
A Carhuaz visitiamo la “roccia del diavolo”, chiamata così per la figura che vi è incisa. E' situata fuori dal paese e la raggiungiamo a piedi, ci addentriamo in un rigoglioso bosco di eucalipti altissimi, pianta non autoctona e quindi nociva al territorio.
Il paesaggio è bellissimo, una campagna completamene diversa dalla nostra veneta. Si intervallano piccoli agglomerati di case, ciuffi di calle, eucalipti e piante grasse.
Di tanto in tanto vediamo mucche e maiali al pascolo, campesinos che lavorano la terra senza alcun tipo di macchinario moderno. Enormi massi di granito ed una stele sono sparsi nei dintorni. Francisco, che non riesce a stare fermo, salta da una roccia all'altra e si arrampica sugli alberi. E' un ragazzo energico e molto agile. Incontriamo donne con le gonne tipiche (falde) e i bambini che giocano sulla strada o che sbirciano timidamente dalle finestre delle loro case.
Consegno i giochi che ho nello zaino, loro sono increduli e contenti. Intravvedo una bambina che è in braccio alla madre, vicino a loro ci sono altre due bambine un po' più grandi. Regalo loro un maialino di peluche alla più piccola, un pupazzetto alla media e una scatola di colori per la più grande.
Sono felici, la madre ride contenta, scendendo lungo la strada incontriamo altre bambine e dei maschietti, a tutti loro consegno qualcosa. Infine ad un bambino regalo una automobilina, il nonno poco distante ci osserva e sorride.
La mattina seguente mi sveglio presto e vado al mercato, di notte ho pensato a quella famigliola cosi' povera, eppure cosi' serena.
  Decido di far compere,. Con la somma di 2oo sol, l'equivalente di 5o euro compro di tutto un po'. Esco dal mercato stracarica di borse e mi dirigo verso l'hotel. Francisco dall'alto della scala mi vede arrivare e mi viene incontro premurosamente. Entro in camera, dove Paolo e Michele stanno ancora dormendo, prendo la macchina fotografica e vado a ritroso per trovare la foto delle bambine. Mi ricordo la casa, ma voglio che il "garoto" individui con precisione la zona dove è situata.
Saliamo in una moto taxi, partiamo con tutti i pacchi e dopo un po' rintracciamo l'abitazione. La signora non c'è, ma riconosciamo le bambine  e il loro padre. Consegniamo tutto quanto, e loro ci ringraziano sorpresi, noi li salutiamo e ritorniamo all'hotel .
Francisco avrebbe voluto dividere la spesa con altre famiglie dei dintorni. Subito non ho afferrato il concetto, che è, invece, alla base dell'educazione impartita da Padre Ugo De Censi. Aiutarsi gli uni con gli altri moralmente e materialmente. Una lezione che non ho realizzato al momento, bensì ripercorrendo le fasi del viaggio.
Nel pomeriggio partiamo  diretti al Canyon del Pato, una zona particolare e bellissima.
Percorriamo una strada sterrata, come al solito polverosa ed arsa, percorsa da tunnel. In taxi musica  a tutto volume, il paesaggio ci affascina per la ricca varietà di conformazione rocciosa, alta migliaia di metri. Francisco ci descrive le cime innevate dicendoci i nomi uno ad uno, mentre percorriamo la strada, in alcuni tratti, ad un solo senso di marcia.
Il fiume, che scorre in profondità, tra la Cordigliera Negra e la Cordigliera Blanca, è il risultato dell'incontro del rio Blanco con il rio Negro. 
 
Ci fermiamo a vedere la cascata formata dal Rio Blanco, spumeggiante e bianchissima, precipitare nel Rio Negro sottostante e mescolarsi in vortici di acque marron.
La strada si restringe e siamo obbligati a proseguire a piedi, le pareti rocciose variano in continuazione e sono così alte ed a precipizio, che del fiume sentiamo solo il rumore dell'acqua . Fotografiamo le rocce che in alcuni punti assomigliano ad enormi mandorlati bianchi, il colore e la conformazione sono tra le più varie che abbia mai visto.
 
Color ocra, giallo, bianco, sforacchiate o puntellate dal verde di enormi cespugli. Camminiamo sul ciglio del burrone ed entrando in una galleria, scopriamo che ci sono i pipistrelli che svolazzano impauriti dal trambusto. Più avanziamo, più il canyon si restringe ed il passaggio ad un certo punto si interrompe, proseguiamo con cautela sul ciglio del canyon per riuscire a vedere il punto dove si incontrano le Cordigliere. Francisco getta dei massi in acqua e quasi non sentiamo il tonfo, tanto siamo lontani da essa.
Paolo riprende con la telecamera, Michele gli sta vicino perchè teme che cada di sotto. La guida cerca appigli per arrampicarsi sulle rocce, così, tanto per farci venire i brividi.

Ai nostri piedi, cumuli di polvere bianca raggruppata dal vento assomiglia a borotalco, credo invece si tratti di caolino. La prendo tra le mani, è leggerissima e quasi impalpabile; il vento la solleva e se la porta via. In questo posto il vento è molto forte ed insieme all'acqua modella la forma delle rocce.
Ci sono due cascate e la centrale elettrica che vorremmo visitare. Questo non ci è consentito, dice un guardiano, e quindi desistiamo. E' stata una esperienza unica, una pace assoluta, un panorama da favola.

09.10.2009

Rientriamo a Huaraz, Francisco ci lascia per  una giornata di riposo. Lo sostituisce Alfredo, un ragazzo che ci deve accompagnare alle rovine di Wilkawain a 8 km. da Huaraz.
Oggi abbiamo avuto una visita a Casa de Zarela. Una parente di Nicola, che abita nei dintorni di Huaraz, è arrivata con la figlia di sei mesi infagottata nella manta annodata sulle spalle.
Le raccontiamo del nostro viaggio, di Nicola e della sua famiglia e le consegniamo il pacchetto che le hanno mandato dall'Italia . La bambina è un amore, la prendo in braccio e la faccio giocare con un coniglietto di peluche. Lei ride divertita, il gioco le piace molto, lo prende tra le mani e se lo porta alla bocca. Rimaniamo in compagnia per un po' di tempo, poi ci salutiamo perchè la piccola vuole bere il latte della mamma. Prima di accomiatarci veniamo invitati a pranzo a casa sua, ma per un malinteso sull'orario non riusciamo più a vederci e l'appuntamento verrà, poi, declinato.
Siamo contenti di averla conosciuta e di portare i suoi saluti a Nicola, in Italia.
Alfredo ci raggiunge nel primo pomeriggio, ci avviamo in taxi fin fuori Huaraz, il resto della strada lo percorriamo a piedi attraverso la campagna. Incontriamo casolari di mattoni di terra rossa con i tetti di paglia, pecore, mucche, maiali, asini e cani randagi, peraltro molto tranquilli.
Il panorama è quello d'altri tempi, coltivazioni di mais si intervallano a campi brulli o appena arati, il colore dorato dell'erba secca e la varietà della flora ci incuriosiscono.
La strada si inerpica tra casupole e capanne di paglia, alcune rifugio notturno dei campesinos, altre per gli animali. Questa zona è insolitamente ricca di vegetazione di un bel verde brillante, un torrentello scorre placido. Ci fermiamo presso una casa dove ci sono delle persone ed un bambino al quale regalo una macchinina, la nonna, che è seduta in una carrozzella per disabili, ci augura buena suerte. 
 
Camminiamo, incontrando macchie di calle bianche, piante grasse, greggi di pecore che pascolano tra boschi di eucalipti. Sembra un paesaggio della campagna inglese dell'800. Un nugolo di bambini si avvicina a noi di corsa, ci salutano timidamente; per fortuna ho con me delle penne e delle caramelle e gliele regalo.

Si allontanano felici per tornare dopo poco a chiederci se vogliamo comprare dell'acqua minerale, cosa che facciamo molto volentieri vista la sete che abbiamo.
Dopo due ore, arriviamo alle rovine di Wilkawain, il tempio è una costruzione a due piani ed era un sito funerario, nella costruzione più piccola, posta nella parte anteriore del complesso, venne trovata la mummia di una giovinetta ed è per questo motivo che tutt'ora è chiamata “la casa della principessa bambina”.
Più sotto, dopo altri venti minuti di cammino, visitiamo altre rovine, resti di una piccola città. I massi con cui sono costruite le mura sono enormi e ci chiediamo come abbiano potuto sollevarli e posizionarli così perfettamente.
Wilkawain è una riproduzione in scala ridotta del Castillo de Chavin de Huantar,sopratutto per le teste scolpite ,tipiche della cultura huari,rappresentanti  animali .

Visitiamo anche il piccolo museo, contenente reperti interessanti e molto belli. Ritornando verso Huaraz Alfredo ferma un taxi con il quale scendiamo lungo una strada polverosa, tra villaggi e gruppi di case. C'è una festa di paese, l'auto rallenta ed abbiamo modo di soffermare lo sguardo per vedere di cosa si tratta. Le donne sono in costume tipico, ballano al centro della piazza, molti uomini sono “borraci” (cioè ubriachi), si reggono in piedi l'uno  l'altro.
 
Lungo la strada i campesinos si avviano verso la festa, immersi nel polverone che li investe ogni qualvolta passa un'automezzo. 

In una radura notiamo una moltitudine di gente, crediamo stiano facendo un pic-nic sull'erba, ma Alfredo ci spiega che si tratta di un funerale.
Prima di tornare a Huaraz, sostiamo a Monterrey, cittadina famosa per le sue acque termali.
L'acqua della piscina, calda e color marron , ci lascia perplessi e  fa passare la voglia di bagnarci. Decidiamo poi di immergerci e fare una nuotata .

Ci siamo divertiti e rilassati. Una volta usciti dalle terme ci avviamo verso Huaraz, in serata è previsto l'arrivo del resto della compagnia.
Arriva il resto del gruppo, siamo felici di incontrarli, finalmente.
Le due coppie che faranno il resto del viaggio con noi sono molto diverse tra loro.
Una, è composta da marito e moglie Marta ed Enrico, l'altra, da due amici, entrambi medici, si chiamano Giacomo e Alessandra. Cesar ci saluta calorosamente, si preoccupa di sapere come stiamo, specialmente come sta Michele, scarica i bagagli, parla con Francisco, saluta Thomas che torna a casa a Cuzco. Tutto ciò senza frenesia ne nervosismo. Ci ha già conquistati.
Noi siamo appena rientrati da una passeggiata in paese,

loro devono lavarsi e riposare perchè, dopo giorni di campeggio ed ore di viaggio su strade polverose e pericolose, sono sfiniti.
La sera andiamo tutti insieme a cena in un ristorantino di Huaraz, tutto fila liscio finchè la dottora non si mette a chiacchierare a voce alta mentre un complessino suona una musica dolcissima. Una mancanza di sensibilità che mi ha ferita ed innervosita.

Sabato 10.10.2009

Oggi è prevista la festa a casa dei fratelli Roca.
La festa in famiglia si chiama Pachamanca, è quasi un rito da condividere con le persone più care e per noi è un onore parteciparvi.
Giacomo e Alessandra arriveranno dopo, sono partiti di prima mattina per vedere le Puya Raimondi, gigantesche piante bromeliacee che fioriscono una sola volta ogni  ottanta,cento anni. Il fiore vero e proprio raggiunge una altezza di quasi quattro metri. Lo stress della fioritura porterà la pianta alla morte. Stranamente in questo periodo molte piante stanno fiorendo contemporaneamente e deve essere davvero uno spettacolo ammirarle. Nel mese di settembre del 2010,durante la nostra permanenza in Perù durata tre mesi,visiteremo questa zona raggiungendo le pendici del ghiacciaio
Pastoruri (5000) metri. Alcune piante puia raimondi stanno fiorendo,molte ormai sono rinsecchite in seguito allo spettacolo della fioritura del 2009.
Impieghiamo mezza ora di taxi per giungerel'abitazione di Osvaldo Roca situata in Marian ,località nei pressi di Huaraz. Il posto è bellissimo, in mezzo al verde, una zona di campagna andina. Osvaldo è fratello di Cesar ed Edgard, è uno scultore molto bravo, una sua opera si trova al centro della piazza a Huaraz, altre sono in diversi siti, Chacas compreso.
Anche nel cortile di casa c'è una scultura alla quale stà lavorando. Verrà sistemata in una piazza di Huaraz nel mese di Agosto 2010. La piccola Lucia gioca con l'acqua e si bagna i pantaloni, la più grande mi chiama e mi fa vedere casa sua, mi chiede se la aiuto a fare i compiti. Vuole mostrarmi il capitello con la statuina della Madonna. “Questa è la Virgen del Ciel, io la prego sempre e Lei di lassù mi vede e mi guida”. E' di una dolcezza unica.

Ritorno con il pensiero alla mia infanzia.  Prima di pranzo le bambine si vestono a festa, la madre le cambia d'abito. La più grande indossa una gonna tradizionale (chiamata pojera), nera a fiori verdi azzurri  rosa, e si diverte a fotografare i presenti.
Il fuoco arde, dalla mattina presto, sotto ad una piramide di pietre, Robiño ed Osvaldo lo alimentano con la legna.

I garroti sono in cucina che preparano le patate, il choclo, la yucca e la carne. Le bambine di Osvaldo corrono e giocano felici.
Arrivano Enrico e Marta, Michele, Cesar, Giacomo ed Alessandra; fotografano il fuoco ed il paesaggio intorno. La moglie di Osvaldo, Flormary, è in cucina con sua cugina e prepara la carne, infagottandola dentro alle foglie di palma, verrà poi cotta sulla pietra.
Cesar si butta a capofitto nei lavori con il solito entusiasmo. I ragazzi preparano il mais e quant'altro, ridendo e scherzando a suon di musica. Quando le pietre sono calde al punto giusto, i ragazzi le tolgono aiutandosi con dei bastoni ma anche a mani nude.
Dove c'era la brace, viene versata una gran quantità di patate con la buccia, queste vengono coperte con pietre caldissime e sopra vi si pongono piselli ancora nel loro baccello.
Si prosegue così alternando le pietre agli alimenti, compresa la carne. Tutto poi viene coperto con fasci di un'erba aromatica particolare che, a sua volta, verrà poi coperta da sacchi di juta e quindi con badilate di terra. Mezz'ora di tempo e il cibo è cotto a puntino. Nel patio le tavole sono addobbate con coloratissime tovaglie, le caraffe contengono pisco e spremute di frutta, alle pareti sono appesi poster raffiguranti le Ande, i ghiacciai ed i fratelli Roca.
 
La musica continua, entrando in cucina accenno passi di salsa e merenghe, le donne ed i ragazzi ridono divertiti. Ci raduniamo tutti attorno al fuoco e gli uomini cominciano a togliere gli strati di terra, erba e pietre. Mano a mano ci vengono offerti i piselli, le patate dolci, le fave. Assaggiamo di tutto un po', in piedi attorno al fuoco.
Il cibo è naturale e molto gustoso, alla fine portiamo tutto in tavola e pranziamo in allegria.
I ragazzi mangiano per conto loro e li sentiamo ridere e scherzare. La piccola di Osvaldo fa i capricci, sua mamma presume che abbia sonno. La prendo in braccio, le canto una ninna nanna in dialetto veneto. Din den don e campane de Zen Son …........Abbandonata tra le mie braccia ascolta questa nenia che non conosce. Gli occhioni neri e vellutati pian piano si chiudono e nell'arco di cinque minuti si addormenta beata. Il papà è stupito e chiede a Paolo se sono una educatrice perché ci so fare con i bambini.
Nel frattempo, Cesar organizza il ritorno con due taxi, Michele ed io decidiamo, però, di tornare a piedi . Due ore di strada, tra cactus giganti, geranei e bouganville, torrenti e piccole greggi .

Arrivati alla periferia di Huaraz scorgiamo Robiño in taxi, probabilmente ci sta cercando. Non si accorge di noi che siamo all'altro lato della strada. Michele ed io proseguiamo a piedi in tutta tranquillità, ci sentiamo bene, in forma e per niente stanchi.
Vicino a Casa de Zarela stanno festeggiando il battesimo di un neonato, i commensali ci invitano a ballare, Marta ed io partecipiamo e balliamo divertendoci molto. Tornata all'hotel organizzo le valige, fra poco saliremo sull'autobus che ci condurrà a Lima.

11.10.2009

Il viaggio notturno è tranquillo, di tanto in tanto guardo dal finestrino ma fuori c'è buio pesto. L'autista corre veloce, sorpassa, la maggior parte di noi dorme, qualcuno russa. Anche io mi addormento, quando mi sveglio scorgo la neve sul ciglio della strada.
Il pullman corre comunque veloce e sono un po' impressionata. Arriviamo a Lima in 5,30 ore circa.

Appena il tempo di lavarsi e riposare un'ora e già dobbiamo caricare i bagagli nel pulmino che ci porterà poi alle isole Ballestas.
Ripartiamo in pulmino portando solo i bagagli indispensabili,cioè tutti tranne il trolley. Lima si snoda lungo la costa, svettanti  condomini e alberghi si stagliano dall'alto della scogliera . 
Alcuni surfisti veleggiano sulle onde dell'oceano Pacifico. Sulla riva i pellicani aspettano pazienti i resti del pesce che vengono scartati dai pescatori. C'è un via vai di turisti e di famiglie in cerca di svago nonostante la giornata sia grigia.
Francisco non è con noi, è partito con il collettivo per organizzare il nostro arrivo a Paracas. Partiamo con il bus Croce del Sur diretti alla Reserva Nacional de Paracas, percorriamo la panamericana che scorre tra dune di sabbia e lunghe file di case di mattoni che si diradano via via che ci allontaniamo da Lima
L'oceano è alla nostra destra, a volte scompare nascosto dalle dune. In mezzo al nulla incontriamo di tanto in tanto qualche auto, la strada si insinua tra canyon dalle pareti rocciose ed altissime color ocra.

Tutto è ancora intatto, una bellezza selvaggia, non c'è traccia di vita umana poiché non vi è acqua. Sembra di vivere un sogno. Il tramonto ci avvolge con i colori accesi,splendido nella completa naturalezza del territorio. Nel pulman c'è una comitiva di torinesi,poco entusiasti del loro viaggio organizzato. Lui ha una macchina fotografica con un mega obiettivo ma non ha avuto molto da fotografare.
Parlano con Alessandra e Giacomo che sono appassionati fotografi. Enrico è scettico, il fotografo non lo ispira, pensa che sia un gradasso. Paolo ed io ci lanciamo occhiate d'intesa e sorridiamo. La notorietà della riserva Paracas attira turisti da tutto il mondo e contribuisce con ciò ad una economia fiorente. Superiamo la città di Pisco,nota per i suoi rigogliosi vigneti che forniscono l'uva per produrre
vini e liquori,ilpiù famoso è il pisco sour,favoloso.
E' ormai tramontato il sole, il nostro hotel è in riva al mare e appena depositati i bagagli ci ritroviamo con gli altri sulla playa.
Sulla passeggiata, ristorantini e bancarelle di souvenir invitano i turisti a soffermarsi per chiacchierare e sorseggiare il pisco di fronte al porto.
Tutto è molto curato e pulito, un ragazzo gioca a fare il mangiafuoco, dei ragazzini gli stanno appresso suonano tamburellando dei barattoli di latta. Sono davvero troppo forti. Ceniamo nel ristorante dell'hotel, c'è anche una comitiva di francesi.
Come al solito Paolo impiega un'ora per ordinare il cibo e mi spazientisco.

12.10.2009
Levataccia alle sei, colazione, poi ci dirigiamo al porto per prendere posto sulle barche che ci faranno fare il giro delle isole. C'è una grande ressa, attendiamo il nostro turno e indossati i corpetti salvagente partiamo in velocità . 

Assieme a noi ci sono turisti tedeschi, francesi, inglesi. Nella prima collina sabbiosa che incontriamo alla nostra sinistra, vediamo inciso il famoso Candelabro, così chiamato per la sua forma. E' alto quasi tanto quanto la stessa collina ed è splendido. Ancora non si è capito quale sia il suo significato. Rimane sempre uguale nonostante la zona sia sferzata da venti fortissimi.
Cesar in piedi controvento è assorto e ammirato dalla natura che sembra appartenergli. Le barche sfrecciano veloci sollevando spruzzi e onde, raggiungiamo le prime isole invase da miriadi di uccelli(160)specie, cormorani, gabbiani, sule, pinguini.
A volte le rocce creano grotte ora chiuse ora aperte, il mare vi entra ed esce con forza,trascinando tra le onde i pinguini e le foche.

Le otarie appollaiate sui massi dormono placidamente,stormi di piovanelli e sterne volano sopra le nostre teste e scaricano guano sui malcapitati turisti. 

Stelle marine ed enormi granchi rossi sono avvinghiati alle rocce sferzate dall'acqua, il cui colore varia dal blu al verde smeraldo.
Il tour dura più di due ore, il mare si ingrossa e le barche rientrano in velocità. Michele ha fotografato di tutto e di più e mi dice che è tutto bellissimo. Tutti quanti noi siamo contenti e soddisfatti, questa riserva naturale considerata (galapagos del Perù), è veramente un posto che merita essere visitato . Il pulman diretto a Nazca doveva partire alle ore 10, invece ritarda di tre ore. Unico disguido di tutto il tour, ci da l'opportunità di fare una siesta al posto di ristoro della stazione degli autobus.
Cesar e Francisco preparano il caffè con la onnipresente moka Bialetti e lo gustiamo assieme ai turisti torinesi. Anche loro sono diretti a Nazca. Dicono di invidiare la nostra allegra compagnia.
Giacomo ed io raccogliamo i semi di fiori e piante con la speranza di poterli  veder fiorire nei balconi di casa nostra.
Alessandra Marta ed io sostiamo chiacchierando vicino ad un muro di cinta abbronzandoci sotto il sole cocente.
Partiamo in direzione Nazca ed arriviamo nel pomeriggio dopo 4 ore di pulman.
Il tragitto lungo la costa del Pacifico,ora piatta e liscia,ora a strapiombo e frastagliata è di una bellezza struggente. Tutto è rimasto intatto per l'inospitabilita del luogo.

Le dune di sabbia raggiungono ed invadono la strada sospinte dal forte vento, le onde spumeggianti dell'oceano si infrangono sulle rive sabbiose incontaminate. E' un luogo incantevole. 
 
Arriviamo a Nazca, una cittadina assolata e frenetica, un via vai di gente intasa i marciapiedi. 



Michele e Paolo girano con le macchine fotografiche in mano, un poliziotto li esorta a tenerle nascoste perché non è prudente esibirle.
 
Cesar si da da fare per organizzare il volo sopra le linee di Nazca e ci manda con Francisco a cercare una agenzia di cambio.
Enrico e Marta sono con noi ed hanno la medesima necessità, il sole è cocente fa caldo ed Enrico si spazientisce perchè il garoto non vuole cambiare in banca, dice che non è conveniente. La guida prosegue senza il minimo segno di impazienza.
Pranziamo in un ristorante stile messicano, qui incontriamo una famigliola di nazionalità francese. I bambini mi riconoscono e mi sorridono, erano nello stesso pulman che da Lima ci ha condotti a Paracas e avevo regalato loro delle macchinine per farli stare tranquilli. Come noi sono diretti a Nazca ed infatti, li incontreremo là dopo aver sorvolato le linee. I piccoli, durante il volo, hanno sempre dormito.
Alessandra e Giacomo vogliono fare surf sulla duna più alta della zona (di tutto di più). Partiranno di mattina alle tre, arriveranno sul posto alle sei e saranno di ritorno in orario per il volo. Ci racconteranno di una esperienza bella e faticosa. Per salire sulla cima affondavano nella sabbia, un passo avanti e tre indietro, quindi la discesa dall'alto, con la sabbia che si infiltrava sin dentro le mutande. La mattina dopo non si sentono molto bene, sono fiacchi, hanno problemi intestinali e durante il volo non favellano.
La perlustrazione dall'alto è stata allegra per via dello speaker che ci spiega in un italiano tutto suo, dove guardare per vedere le linee di Nazca.
13.10.2009
Sotto l'alla, sotto l'alla là, là, amici,sotto l'aladora. Tutto ok amici?
Distinguiamo il disegno del colibri, il condor, il ragno, l'astronauta e molti altri segni.

Uno spettacolo senza eguali, praticamente un deserto dove non piove mai, sferzato da venti fortissimi e solcato da 13.000 o più figure geometriche lunghe anche otto km. Una volta scesi ci riprendiamo dallo stordimento e dal senso di nausea e saliamo nel pulmino che ci condurrà ad Arequipa, la Ciudad Blanca.

14.10.2009

Percorriamo la puna, un altopiano deserto e inospitale.

Gruppi di vigogne ed alpaca pascolano, brucando. 
Splendide pareti rocciose bianche e stratificate si ergono alla nostra sinistra. Il cielo terso trasmette una sensazione di freschezza e pulizia. Ci fermiamo nei pressi di una ex miniera d'argento.
Ad Arequipa arriviamo alle 4.30 del mattino ci infiliamo subito a letto e dormiamo fino alle 8.oo. L'albergo in stile coloniale è ben arredato, i letti soffici e la biancheria curata. Dopo una abbondante colazione ci accingiamo a partire per visitare il Monastero di Santa Catalina. Giacomo ed Alessandra arrivano in ritardo, si avviano per conto loro senza nemmeno scusarsi. Tutti noi siamo perplessi.
Chiamo Giacomo mentre si sta allontanando e chiedo come mai se ne va per conto suo dal momento che tutti quanti lo abbiamo aspettato sino ad ora. Lui borbotta una scusa poco plausibile e ne nasce un battibecco poco simpatico, così ci ignoriamo a vicenda per il resto della giornata.
Il convento di Santa Catalina è una città nella città, fu costruito nel 1580, l'architettura ricca di elementi spagnoli mescolati a elementi indigeni.

Qui venivano internate contro la loro volontà e per tutta la vita, le figlie illegittime dei facoltosi signorotti spagnoli.
La guida locale ci accompagna per una visita di un'ora. Descrive le celle dove abitavano le monache, alcune lussuose, altre essenziali, a seconda del ceto familiare di provenienza. Sono ancora arredate con i mobili di allora, differenti per bellezza e ricchezza, poichè ognuna portava con se la dote dalla famiglia di origine.
Nelle celle più ampie c'era spazio anche per la servitù, che fruiva di una stanza a parte. Le pareti esterne ed interne del convento sono coloratissime.
Vi sono dei portali molto belli e diversi per forma e grandezza. Tutt'ora il monastero ospita venti suore, alle quali è riservata un'ala della struttura e che
possono uscire dal convento. C'è anche la cella con la statua di Santa Anna.
Visitiamo anche la Pinacoteca ricca di quadri di autori della scuola cuzcuena ed il chiostro maggiore ricco di affreschi. 

Terminata la visita ci dirigiamo al Museo Andino della Università Cattolica di Santa Maria, ricco di reperti, il più importante tra questi è la mummia Juanita. Essa venne trovata sul monte Ampato, dov'era stata condotta e sepolta, sacrificata ancora in tenera età.
Ci sono anche altre mummie di bambini, probabilmente morti prima di raggiungere i ghiacciai per essere offerti in sacrificio al Dio Sole. Vi sono esposte ceramiche, tessuti, vasellame, bamboline giocattolo in argento, una con il viso in oro, recuperate durante gli scavi proprio vicino a Juanita.
C'è da dire che Arequipa sorge su di una faglia freatica detta Cadena del Fuego e proprio per questo soggetta a terremoti. Nell'antichità i sacrifici umani venivano offerti agli dei al fine di calmare la loro ira. Visitiamo la cattedrale, la chiesa della Compagnia in Plaza des Armas. Gironzoliamo tra i giardini della piazza ammirando i palazzi candidi che la circondano.
A mezzogiorno pranziamo tutti assieme, Giacomo non ascolta quando parliamo è intento a leggere messaggi sul cellulare, Alessandra invece parla a voce alta al suo telefonino. Quando usciamo loro si dileguano per cercare non so che cosa, tutti noi li dobbiamo aspettare ancora. Mi faccio trasportare da un attacco d'ira e mi allontano per conto mio finchè non ritornano. Enrico decide di non dire niente per non innervosirsi oltre. Credo che la più grande fatica per Cesar sia quella di gestire gli umori della comitiva. E' un santo.
Nel pomeriggio partiamo verso Chivay, dove facciamo tappa per poi andare a vedere il Canyon del Colca nella Valle dei Condor. Solito carico e scarico bagagli, tragitto su strade sterrate e non, arrivo a Chivay e visita al mercatino.
Decidiamo di andare ai bagni termali appena fuori paese. Alessandra e Giacomo sono i primi ad entrare in acqua che è azzurra e caldissima. Mangiano e bevono in acqua e si isolano come al solito. Enrico non vuole entrare ma Marta ed io riusciamo a convincerlo e ammette di stare bene. Nuotiamo un po,a fatica per via dell'altitudine . Anche Michele si stanca presto e preferisce chiacchierare con Francisco. Ogni tanto siamo costretti ad uscire perchè l'acqua è troppo calda.
Giacomo e Alessandra decidono di farsi fare i massaggi(di tutto di più),e tardano ad arrivare. Le terme stanno per chiudere e noi li aspettiamo in pulmino.
Entrambi decidono di non cenare assieme a tutti noi, peccato per loro, nel ristorantino vi è una coppia di ballerini con i costumi folcloristici di Chivay. Lei è minuta e molto bella, coinvolgono anche i clienti presenti in sala tra il divertimento generale. Il complesso suona musica andina e invita a ballare nel centro della sala i componenti della comitiva italiana.
Marta ed Enrico non si muovono, Paolo men che meno, cosi mi decido e ballo come sono capace, per creare un po di allegria. In seguito vengono invitati i componenti della comitiva francese, nessuno si alza, così torno al centro della pista finchè una ragazza francese si unisce a me e balliamo insieme. Allegramente ho coinvolto tutti i gruppi presenti in sala, tra il divertimento generale.
Cesar è entusiasta, riprende con la telecamera ed è felice che il suo gruppo sia il più coinvolgente.
Il ritornello è sempre lo stesso e per fortuna molto ritmato. Non mi è difficile coinvolgere anche due turiste messicane un po' anomale; sono bionde e alte come svedesi.
15.10.2009
Partiamo da Chivay di mattina presto, siamo diretti al Canyon del Colca per sperare di assistere al volo mattutino dei condor. Il viaggio è lungo, dobbiamo attraversare monti e valli estesissime, coltivate sin dall'antichità con il sistema di terrazzamenti. Lungo il percorso incrociamo campesinos con le greggi, con i muli oppure a piedi o al lavoro nei campi. Il paesaggio mi prende molto, riempio gli occhi di tutta questa maestosità. 

Gli appezzamenti di terra sui pendii e strapiombi delle montagne sono macchie verdi ordinatissime, di tanto in tanto un laghetto blu si staglia tra il verde dei campi e i terrazzamenti, tutt'ora coltivati, risalenti a 2000 anni fa. I paesi sono distanti km uno dall'altro e i campesinos percorrono lunghi tratti di strada a piedi per raggiungerli.
Le donne hanno vestiti coloratissimi, le gonne arricciate sono arricchite da ricami; indossano cappelli e corpini ricamati. Alcune con i bambini in spalla portano al pascolo i lama o le vigogne. 

Raggiungiamo il canyon già alle 8.30 di mattina. Esso si estende per un centinaio di Km ed è profondo 3400 metri. Il fiume Colca scorre in profondità ed è costituito da circa 300 rapide, un paradiso degli amanti del rafting.

I condor sorvolano questa zona tutte le mattine e per questo le comitive di turisti raggiungono questo posto e si appostano nei punti in cui la visibilità è maggiore. Mentre aspetto il loro passaggio incontro le due turiste messicane conosciute la sera prima. Mi salutano come se mi conoscessero da sempre, mi raccontano che la serata è stata la più divertente in assoluto del loro viaggio. Vogliono sapere dove sono diretta e si rammaricano perchè il loro giro non coincide con il mio. Incontro anche le ragazze francesi vogliono sapere se sono di Bologna e rimangono ammirate quando dico loro che sono di Venezia.
I condor arrivano dopo le 9.30, veleggiano leggeri sopra e davanti a noi. Dapprima uno, poi due, infine quattro tutti insieme, leggeri come aquiloni volano sfruttando le correnti d'aria calda. Solo le piume remiganti, alle estremità delle ali si muovono per direzionare il volo. In questo Paradiso terrestre sono loro i re indiscussi e si fanno ammirare a lungo. 

Sulle pareti del canyon vi sono piante fiorite visitate dai colibrì che succhiano il nettare dai loro fiori.
Tornando a Chivay ci fermiamo per fotografare il panorama ed i bambini che con le loro madri sostano lungo la strada per vendere prodotti artigianali.
Al mercato di Chivay c'è una bambina che piange, la mamma le ha detto di aspettarla mentre si allontana per dirigersi tra le bancarelle. Compro una merendina e gliela porgo, lei si rasserena e mi sorride.

Paolo, Michele ed io ci dirigiamo verso la piazza e ci beviamo una birra seduti in un bar.
L'ambiente è molto particolare, a metà tra pizzeria e osteria, si possono affittare anche mountain bike e caschi da ciclista. Giacomo ci raggiunge, ha perso Alessandra. In attesa che torni si beve una birra pure lui. Rimaniamo un po' a chiacchierare in compagnia di Enrico e Marta, tranquillamente, finchè non arriva il pulmino che ci porterà a Puño.
Percorriamo per diverse ore ,un altopiano ( 4.450 m.sl). La strada si snoda tra pareti rocciose e una pianura sconfinata, greggi di lama, alpaca e vigogne pascolano tranquillamente in libertà. 

Improvvisamente ci appare un laghetto, fenicotteri rosa sgambettano sull'acqua e volano planando dolcemente. Ci fermiamo e scendiamo per riprendere e fotografare questo inatteso spettacolo.

Fa freddo e compriamo maglie di alpaca in alcune bancarelle strategicamente situate proprio lì.
Correndo parallelamente alla cime montuose arriviamo a Puño verso sera. La città è piuttosto grande ed anche bella, situata sulle rive del lago Titicaca a 3.827 metri di altitudine.
Il centro molto affollato da turisti, venditori ambulanti e residenti è ricco di ristorantini negozi, banche nonché di un traffico caotico.

16.10.2009

Di prima mattina ci dirigiamo al lago Titicaca, Cesar affitta una imbarcazione che ci condurrà all'isola degli Uros, abitanti delle tipiche isole galleggianti. 

Il lago che fu sacro agli Incas è immenso, la barca scivola tra canneti palustri e piccole lagune, è mattina presto e gli uccelli acquatici cominciano ora a svegliarsi. 

Anatre selvatiche, aironi e garzette sgambettano tra i canneti o volano lontano. Una barchetta con una famiglia Uros si dirige verso Puño, un'altra barca a remi scivola verso l'isola maggiore trasportando dei bambini diretti a scuola. Lasciata la palude alle nostre spalle, il lago diventa azzurro, le onde, alzate dal vento, lo rendono simile al nostro mare Adriatico.

E' molto vasto, è sconfinato! Raggiungiamo l'isola degli Uros che ci accolgono con canti, balli e l'immancabile esposizione di prodotti artigianali.
Ci invitano a vedere come vengono costruite le isole e le barche di totora.
Alessandra indossa il vestito tipico delle donne e si atteggia davanti alla macchina fotografica. Ci viene proposto di fare un giro sulla totora, la barchetta tipica, così saliamo e portiamo con noi il figlio del vogatore che non è voluto restare sull'isola con la mamma. Il padre vorrebbe che restasse a casa ma lui piange, io lo prendo in braccio e lo tengo con me.

E' bello robusto ed ha due guancie tonde come pesche, con la pelle abbronzata e screpolata dall'aria e dal sole.
Una volta allontanati dalla riva si stende a pancia in giù e guarda l'acqua che scorre sotto la barca. 

Raggiungiamo in questo modo l'isola maggiore, sempre costruita sulle canne di totora, un paese vero e proprio con scuola, bar e negozietti. Qui giunti, scendiamo e risaliamo sulla barca a motore, diretti all'isola Taquile che raggiungeremo all'incirca dopo due ore e trenta. Il sole batte a picco sulle nostre teste, il vento ci scompiglia i capelli.

Cesar e Francisco sono distesi a prua, le braccia sotto la testa. Per un po' guardano il lago chiacchierando tra loro, poi si addormentano. Anche Michele si addormenta disteso sulla panchina del ponte, mentre Marta si rilassa con esercizi Yoga.
In lontananza scorgo la sponda del lago ed il profilo delle Ande Boliviane, mi sembra impossibile di essere in questo posto, a questa quota in tutta tranquillità ed in buona salute. L'unico inconveniente, un'improvvisa malinconia che mitigo parlando con Marta e Cesar. I laghi in genere mi fanno sempre questo effetto. Sarà forse colpa dell'altitudine? Arriviamo alla riva dell'isola e saliamo il pendio della montagna per raggiungere il paese di Taquile, dove è stato organizzato il pranzo all'aperto. Lungo il tragitto incontriamo altre comitive di turisti . I campesinos sono sparpagliati nei campi ed i bambini giocano spensierati.

Piccoli gruppi di pecore sostano brucando l'erba sul ciglio della strada. Cesar se ne accorge, con un balzo si intrufola tra gli animali, solleva due agnellini e se li stringe al collo.
Li coccola, li spupazza, loro belano e reclamano la madre. Cesar li sospinge verso di essa. L'allegria e la spontaneità di questo gesto trasmettono una tenerezza incredibile. 

Un gruppo di paesani in costume si sposta da una comitiva all'altra improvvisando balli e musica.
Una bambina, vestita con una gonna rosa arricciata mi invita a ballare, muove veloce i piedini facendo roteare la gonna. E' bravissima.
Anche Francisco e Cesar partecipano ai balli, io sono troppo impegnata con la piccola, così mi perdo l'unica loro esibizione. Dopo aver pranzato proseguiamo il tour nell'isola visitando l'enorme mostra mercato di manufatti tessili.
In questo paese sono gli uomini gli artefici dei lavori di maglieria e cucito, i loro ricami sono divenuti patrimonio dell'Unesco.

Dopo un veloce giro del paese ci dirigiamo verso il porto scendendo dalla parte opposta dell'isola.
Rientriamo a Puño ed in barca con noi sale anche una madre con la figlia dirette allo stesso paese.

Durante il percorso di rientro la guida mi spiega la leggenda del lago Titicaca e dei suoi abitanti, siamo sedute al sole e ci rimaniamo per quasi tutto il tragitto. Gli altri si sono ritirati in cabina, l'aria è più fresca ed il tramonto si stende su tutto il lago con un tripudio di colori.
 Partiamo diretti a Cuzco, il viaggio è lungo ma ormai non ci faccio nemmeno caso.
L'hotel è in centro ed è in stile coloniale, vi è il patio centrale ed i sottoportici perimetrali. Anche le colonne e la scalinata di granito sarebbero belli se non fossero stati verniciati, perdendo così parte della loro unicità e bellezza.

17.10.2009
Cuzco è situata a 3000 m.di altitudine, chiamata (ombelico del mondo) fu capitale e centro spirituale e politico dell'impero Inca.

Di prima mattina in compagnia della guida andiamo a visitare le rovine di Sacsayhuamàn che distano due km dal centro della città.

La colossale costruzione è composta da tre sistemi di difesa in blocchi enormi di pietra tagliata e levigata alla perfezione. Alcuni componenti di questa struttura militare pesano sino ad un massimo di 350 tonnellate. Di fronte a queste rovine si trova, situato su di una altura, il trono del Re Inca, scavato nella roccia viva. Al centro della piazza (Huacaypata) di Cuzco, inglobate nel convento di Santo Domingo, ci sono le rovine del tempio del sole un tempo interamente ricoperte da lastre d'oro e rame.
Le mura del tempio sono composte da blocchi enormi di pietra finemente lavorata e lisciata con la sabbia.

Le finestre perfettamente allineate creano una prospettiva perfetta. I massi venivano modellati con sistema di incastro perchè
le costruzioni resistessero ai terremoti. Visitiamo anche le rovine Tambomachay a sette Km da Cuzco e la Fonte della Giovinezza, nella quale ci bagnamo nella speranza vana di tornare bambini.
In centro città, visitiamo il museo dove vi sono reperti inca e pre inca, tessuti appartenuti ai Re e alle Regine, mummie, trovate nei vari siti adiacenti Cuzco, nonchè vasi, strumenti di lavoro, gioielli, tappeti e ricami finissimi.

Oggi Cuzco è una bella città, molto vivace ed animata da turisti, soprattutto giovani molti dei quali si sono trasferiti qui.
E' sabato, nei locali si sono organizzate feste e party, si sente musica in ogni posto.
18.10.2009
Sulla strada, che da Cuzco conduce ad Ollantaytambo, ci fermiamo ad ammirare l'orto botanico di origine incaica. Si tratta di un gruppo archeologico unico nel suo genere chiamato Aymoray, in quechua.
Strutturato a terrazzamenti circolari, veniva usato come luogo di acclimatamento, ibridazione e domesticazione delle piante selvatiche che venivano adattate, per poi essere trapiantate alle varie altitudini. Esteticamente assomiglia ad un anfiteatro, perfetto nelle proporzioni. Paolo mi convince ha scendere per raggiungere la base, visto dal basso verso l'alto (150 – 300 m di profondità)è davvero spettacolare. 

Nelle immediate vicinanze ve ne sono altri, non curati come questo. In seguito, attraversando praterie e vallate giungiamo alle antiche saline di Maras.
Di origine incaica, questi terrazzamenti salini (3000) sono uno spettacolo, ci appaiono da lontano luccicanti e bianchissimi. Coprono una vasta estensione della Valle Sagrada ed hanno origine da una fonte di acqua salata chiamata Qoripujo, che sfocia dal sottosuolo. Quando il sale iodato si cristallizza e raggiunge una altezza minima di 10 cm. viene prelevato dagli operai, insacchettato e spedito in città.
Il prossimo traguardo è la cittadina coloniale di Chinchero, costruita sulle rovine dell'antica città inca. Fu un fiorente centro agricolo e commerciale del Re Tupac Yupanqui, tutt'ora vi si pratica l'agricoltura ed i suoi prodotti sono commercializzati in tutto il Perù.

 Nella piazza si trova una antica chiesa costruita dagli spagnoli, ricca di affreschi, quadri ed arredi lignei molto belli.

Il mercato di Chinchero è famoso in tutta la zona,

centinaia di commercianti espongono le loro merci coloratissime ed il sistema di contrattazione (baratto) è tutt'ora in uso. 

Percorrendo la campagna all'inizio dorata e polverosa,

poi, sempre piu' verde, raggiungiamo Ollantaytambo, piccola città posizionata all'inizio della selva. Vi si trovano meravigliose rovine appartenenti ad una fortezza, posto di controllo strategico sulla valle sacra.
Da Ollantaytambo parte il Cammino Inca e il trenino delle Ande diretti a Aguas Caliente e Machu Picchu. Il treno azzurro, munito di finestre panoramiche, scorre tra le vette andine ricche di vegetazione rigogliosa e adiacente al rio Urubamba.

Il panorama scorre tra il verde smeraldo delle foglie, si intervalla ai colori arancio delle orchidee e delle sterlizie, bouganville, stelle di natale alte come alberi.
Dopo un'ora e quaranta minuti di viaggio arriviamo ad Aguas Caliente dove alloggeremo per una notte prima di raggiungere la montagna sacra Machu Picchu.
L'attrattiva principale, oltre al ricco mercato artigianale, sono le terme, situate a poca distanza dal centro cittadino. Il paese si è sviluppato disordinatamente, senza uno stile particolare, vi sono moltissimi ristoranti ed hotel nei quali i turisti trovano ristoro.

Di sera la nostra compagnia al completo si ritrova in un ristorante del centro, Alessandra si fa un sacco di paranoie, monopolizza l'attenzione di Cesar snobbando il resto del gruppo, vuole anticipare l'orario di partenza per essere certa di arrivare a Machu Picchu per prima. Quando ci confrontiamo con la guida locale che ci condurrà l'indomani alla città sacra tutte le perplessità ed i dubbi della nostra compagna di viaggio vengono fugati in un attimo. Per fortuna l'arrivo di Francisco stempera la tensione e la serata termina con una passeggiata per il centro città.
19.10.2009

Partiamo di mattina alle tre, dopo una colazione abbondante ma veloce. E' ancora buio, ma la luce delle pile frontali è piu' che sufficiente per illuminare il sentiero, non fa neanche freddo. Ci incamminiamo con passo regolare verso il percorso situato appena fuori il paese e diretto a Machu Picchu. Marta ed io chiacchieriamo tranquille seguendo gli altri, chiedendoci se mai riusciremo in questa impresa. 

La salita si inerpica ripida sul lato del monte, dopo un po' comincio a rallentare ed anche gli altri avanzano più o meno alla stessa velocità. Solo Giacomo ed Alessandra ci anticipano proseguendo di gran carriera e disturbano un serpente corallo (siamo pur sempre nella selva).
Paolo e Cesar se lo trovano proprio davanti ai piedi ed invece di allontanarsi si soffermano a fotografarlo in lungo ed in largo. Io non lo voglio vedere e rallento così approfitto per riposare. Mentre riprendiamo la salita una comitiva di ragazzi e ragazze nord europei, ci sorpassano e proseguono dinanzi a noi seppur a fatica.
Cesar e Francisco ci accompagnano e seguono con solerzia, pacati ed allegri come sempre. Raggiungiamo la cima prima del previsto, cioè in meno di due ore.
L'entrata del sito è ancora chiusa, Giacomo ed Alessandra sono seduti sulla scalinata per conto loro. Li osservo e mi chiedo quale meccanismo li porti ad essere così asociali. I ragazzi che prima ci avevano superato ci accolgono salutandoci cameratescamente, uno di loro suona la chitarra, altri fanno colazione seduti sugli scalini o per terra. Non sono per niente stanca, Cesar è entusiasta perchè siamo arrivati in anticipo e decide cosi di salire sulla montagna Wainapicchu già con il turno delle ore sette. Quando realizzo che devo salire fin lassù mi spavento: un dislivello di 600 m. , la vetta quasi perpendicolare alla base, il sentiero a tratti esposto.
Proprio vicino alla cima vi sono resti di rovine Inca che viste da quaggiù sembrano irraggiungibili. Una volta entrati a Machu Picchu scendiamo lungo le gradinate per dirigerci verso il Wainapicchu, parlo con Cesar che mi assicura che il tragitto non è difficile, dobbiamo solo prestare un po' di attenzione. 
Lui intanto studia con attenzione una parete della montagna, in silenzio. Enrico non vorrebbe salire perchè soffre di vertigini ma si fa convincere e parte con Cesar. Chiedo a Francisco se pensa che io ce la possa fare, come al solito mi dice: “piano piano, con calma arriveremo fino alla cima”. In cinquantacinque minuti di tempo arrivo in vetta, il tragitto faticoso e irto mi ha stancata, ma la soddisfazione è unica!

 Sono felice, la vista da quassù è fenomenale.

Posso ammirare i monti tutt'attorno e le rovine ordinatamente sparse sui pendii circostanti, Machu Picchu è splendida.Il rio (fiume) Urubamba scorre sotto di noi, lontanissimo nastro di acqua tumultuosa. I Cesar e Francisco guardano oltre Machu Picchu, “quella è casa nostra” ci dicono, additando le cime innevate della Cordigliera Bianca (come amano visceralmente la loro terra).
Sarà la stanchezza, l'altitudine o la bellezza nella quale sono immersa ma mi commuovo per davvero. Alessandra e Giacomo siedono sulla roccia più alta, distanti, isolati come sempre. Lei, unica al cellulare tra tutti i presenti, telefona alla mamma. Enrico si è infrattato dentro ad una galleria formata dalle rocce e non vuole
uscire perchè soffre di vertigini. Marta è seduta su di un masso in alto insieme con le guide e non vuole scendere, credo si senta libera e felice.
Michele fotografa a destra ed a manca e mi tiene d'occhio perchè teme che io cada di sotto.

Paolo è euforico, si complimenta con me, dice che sono stata brava. Nel frattempo il posto si anima, arrivano ragazzi e ragazze di ogni nazionalità, c'è un clima di festa e di stupore generale. Scendendo, Cesar accompagna Enrico e Marta. Francisco scende con il resto del gruppo, il sentiero, tutto a gradini, è esposto, molto pericoloso e scosceso e dobbiamo reggerci alle pareti. Arriviamo alla base stanchi ed assetati. Mentre ci riposiamo Cesar parte per salire sulla parete del Waynapicchu, quella che aveva scrutato prima pensando: “tra poco sarai mia”. 

Dopo venti minuti è già sulla cima, lo inquadriamo con i cannocchiali, dall'alto ci saluta sbracciandosi. Tempo quindici minuti ed è di nuovo con noi. Instancabile e soddisfatto. La visita alle rovine comincia poco dopo, percorriamo il tragitto sotto al sole seguendo la guida che ci descrive i vari monoliti.
Enormi massi sono stati scolpiti sfruttando le rocce esistenti, mantenendo la topografia originale del posto, ma modificando completamente l'aspetto esteriore.
Il più importante monumento sacro si chiama Intihuatana (pietra dove si lega il sole), dove si svolgevano i riti legati ai solstizi e agli equinozi. Si dice che emani una incredibile energia, così noi tutti avviciniamo le mani per assorbirla.
Possibile che io sia l'unica a non avvertire nessun effetto? Altri importanti monumenti sono dislocati in vari punti del sito e sono davvero incredibili. Le pietre granitiche venivano lisciate e smussate con i ciottoli del fiume, tutte le asperità venivano pareggiate.

Appoggiate una sull'altra con una precisione incredibile dato il loro peso, le pietre hanno dato vita a costruzioni incredibili. I terrazzamenti costituivano il settore agricolo e venivano usati sopratutto per la coltivazione del mais. Erano provvisti di un sofisticato sistema di drenaggio delle acque che è tutt'ora funzionante dopo il ripristino, da parte di equipe archeologiche.
Gli Inca erano molto attenti nella scelta dei luoghi di insediamento, in particolar modo alla loro importanza strategica. Avanziamo sotto al sole cocente, la giornata limpida rende tutto più bello. Paolo ha caldo ed è stanco e così si fa accompagnare all'uscita da Francisco; effettivamente orizzontarci tra tutte queste rovine risulta un po' difficile, sembrano un labirinto.
Enrico è seduto all'ombra si riposa e ingoia una pastiglia contro l'ipertensione, proseguo con il resto del gruppo fino alla cima di Machu Picchu, ridiscendo per un altro tratto per terminare la visita alle rovine. Giungiamo al posto di ristoro, Alessandra e Giacomo non si siedono con noi, intavolano un discorso con una matura coppia di inglesi.
Paolo, Enrico, Michele, Marta ed io, ci accomodiamo all'unico tavolo libero e chiacchieriamo mangiando con calma. Le guide ci raggiungono e ci rendono partecipi del loro desiderio di salire al sentiero Inca. Lasciano a noi i loro zaini e partono di gran carriera mentre noi saliamo sull'autobus che ci condurrà ad Aguas Calientes. Alessandra e Giacomo risalgono a Machu Picchu per fotografare le rovine, ora che c'è meno confusione. A sera i garroti cenano insieme a Marta, Enrico e noi in un ristorantino stile messicano. Ci raccontano di aver raggiunto la “porta del ciel”, di aver scalato e ridisceso due montagne, attraversato correndo un ponte tibetano mezzo diroccato e di essere scesi di corsa, gareggiando, fino ad Aguas Calientes.
Francisco è arrivato per primo, ha le gambe indolenzite. Rimarrà così anche il giorno successivo.
20.10.2009

Il viaggio di ritorno, in treno fino a Ollantaytambo, è tranquillo, all'arrivo incontriamo una moltitudine di portatori andini. Sulle spalle portano giganteschi bagagli, necessari alla spedizione sul sentiero degli Inca.

La cittadina si sta svegliando ora,

i bambini si avviano a scuola, le donne improntano le bancarelle con la loro mercanzia. Sull'uscio di una casa si affaccia una bambina con la madre, nello zaino ho una bambola che ho portato con me in tutti questi giorni e decido di regalarla alla piccola.

Lei la abbraccia felice ed incredula, Paolo ed io la salutiamo e proseguiamo con il resto della compagnia.

D'ora in poi viaggiamo in pulman taxi diretti a Pisac, Alessandra, Enrico e Marta visitano le rovine, luogo dove gli Inca sconfissero Pizarro; Paolo, Michele, 

Giacomo ed io visitiamo la cittadina e il mercato.
Oggi siamo tutti molto stanchi, le repentine variazioni di altitudine ci creano scompensi a livello umorale ed anche fisicamente risentiamo delle levatacce degli ultimi giorni.

Ora chiedo umilmente perdono a Cesar per la mia scortesia. Una volta tutti insieme, ripartiamo verso Cuzco, dove alloggeremo l'ultima notte.

 Un pomeriggio da trascorrere in tranquillità, senza impegni particolari. Paolo ed io compriamo della frutta in un negozio di alimentari del centro, la musica andina ci rende allegri e vivaci.

Verso sera ci ritroviamo in hotel, Francisco ci raggiunge e ci comunica che questa sera partirà in pulman, diretto a Lima. Siamo sorpresi, pensavamo di tornare tutti assieme. Proponiamo a Cesar di pagare noi la differenza del biglietto aereo di Francisco. Partiamo in taxi e nel giro di dieci minuti arriviamo presso un'agenzia e prenotiamo il volo con un aereo diverso dal nostro, ma che parte appena 20 minuti dopo. Francisco è contento, questa è la prima volta che sale in aereo. Noi siamo felici di avergli risparmiato quindici ore di viaggio, un modo per ringraziarlo per averci seguito in tutti questi giorni. Trascorriamo il resto della sera bighellonando per il centro della città e dedicandoci alle ultime compere.
Non fa freddo, la piazza è animata dal mercatino del libro. Francisco, Michele, Marta, Enrico, Paolo ed io ceniamo in un locale del centro, quindi rientriamo in hotel per riposare.
21.10.2009

Ci imbarchiamo nel volo che ci condurrà a Lima, dopo un'ora di viaggio arriviamo all'aeroporto e attendiamo Francisco che arriva poco dopo con l'altro aereo. Lasciamo i nostri bagagli al deposito, quindi ci dirigiamo all'hotel dove abbiamo l'opportunità di farci una doccia. Incontriamo un noto scalatore statunitense che alloggiava a Casa de Zarela. Ci salutiamo, gli spiego che siamo in partenza e lui ci augura buon viaggio.
Francisco, che è in partenza per Huaraz, viene a salutarci, gli raccomando di fare molta attenzione quando andrà ha scalare le alte vette ghiacciate delle Ande. Gli dico di portare i nostri saluti a tutti gli amici,Robiño, Alfredo e Thomas. Cerco di non essere triste, penso ai giorni passati insieme, ai bei momenti trascorsi in allegria, alle fatiche e alle gioie condivise. Questa avventura mi ha arricchita molto dal lato umano, grazie anche alla spontaneità dei nostri accompagnatori.
All'ora di pranzo mangiamo del buon pesce in un ristorantino nei pressi dell'oceano Pacifico, molto carino e non costoso. E' giunta l'ora di salutare i nostri compagni di viaggio, ci scambiamo gli indirizzi mail e ci dirigiamo con Cesar verso l'aeroporto George Chávez, perchè il nostro volo parte nel primo pomeriggio. Marta ed Enrico tornano all'hotel, mentre Giacomo e Alessandra partono in taxi per un giro in città.
Cesar ci ha assistiti fino all'ultimo, come sempre premuroso e solerte, un vero professionista. Purtroppo subentra un inghippo, la nostra carta di credito non ci permette di fare un prelievo per poter pagare le tasse aeroportuali. Contattiamo Alessandra, gentilissima in questo frangente, che ci farà da tramite con Cesar il quale ritorna indietro e ci supporta in questa ultima inattesa incombenza. Ci accompagna fino all'imbarco, senza dimostrare la benchè minima contrarietà, anche se si vede che è stanco. E' veramente una persona squisita. Noi ci scusiamo per il contrattempo e lo salutiamo con commozione e gratitudine. Cesar saluta Michele dicendogli: “ciao nuovo fratello”. Mi intenerisco e commuovo.
Il viaggio di ritorno mi è sembrato meno lungo di quello di andata. Di sicuro avevo molti ricordi da ripercorrere con la memoria ed il tempo non mi è mancato di certo. Tutto è filato liscio e siamo arrivati in Italia in perfetto orario.
Rispetto al Perù, il nostro territorio ci sembra striminzito, gli spazi ridotti e l'atmosfera triste. Le Alpi, all'orizzonte, ci appaiono minuscole, lontanissime e anche
freddine..... Ci occorrerà un po' di tempo per riabituarci, ma i filmati e le foto ci riporteranno laggiù ogni qualvolta lo desidereremo.
E' stato per noi un onore essere accompagnati nel nostro tour da Cesar. Lui, che solitamente guida esperti scalatori sulle più alte vette del mondo, non si è mai vantato delle imprese compiute e ci ha trasmesso l'importanza della discrezione e dell'umiltà d'animo.
Consiglio a chi volesse vivere una avventura come la nostra, ma anche più estrema, tipo: scalate ai nevai, trekking in Patagonia, esplorazioni nella foresta amazzonica ed altro, di affidarsi alle guide Cesar ed Edgar Roca (www.incaroca.it ). Il divertimento, la professionalità e la sicurezza sono assicurati. Il costo del tour, che gli altri turisti vi invidieranno, sarà contenuto e comunque molto inferiore a quello di qualsiasi agenzia turistica,e non dimenticate,siate generosi  con le giovani leve
che lavorano per mantenere se stessi e le loro famiglie.Grazie di cuore, Cristina.
Perù-Italia
29.09.2009 - 21.10.2009
Cristina, Paolo, Michele
Guide Andine: Cesar Roca,
Francisco Ostos Ramos,
Alfredo,
Collaboratori: Robiño, Thomas
Organizzatore: Edgar Roca guida andina

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